lunedì 28 febbraio 2011

attesa anni '80... che maravilla

Mentre tutti si vantano di respirare un’evocazione da fine anni ’80 – storia che vorrebbe Cavani, Ibra e Pato eredi di Maradona, Van Basten e Gullit e già così ce ne sarebbe da intristirsi – e nessuno sembra rendersi conto che è sia parecchio da vecchi sia un discreto marchio di fallimento rimpiangere quell’epoca, da parte della nostra, mentre il ritorno di capelli (e cappelli) improbabili tiene banco, dicevo, non è che le altre stiano ferme a guardare.

Oddìo, tranne la Juve. Ma, del resto, la quota salvezza è raggiunta, i punti sono 41, si può archiviare la stagione, no? Arrivederci Signora, chissà se il prossimo incontro col Diavolo la tirerà fuori dal letto, per intanto sono due scappellotti anche dal Bologna, con tanti saluti (quasi pronti, come le valigie) a Gatto Delneri.

venerdì 25 febbraio 2011

nemmeno ve la anticipo...

Bryan Carrasco è un genio... o un deficiente?
Ca-po-la-vo-ro



fuori una. per ora


E che sarà mai. Adesso tutti a intonare il de profundis. Dice il sòr Galliani che no, troppo presto e non dimentichiamoci che la squadra campione d'Europa e del mondo è italiana. Considerato che lo diceva anche del Milan e sono arrivati tre anni tra i più bui del venticinquennio dalle candeline ancora fumanti, fossi dell'Inter mi preoccuperei piuttosto anzichenò.

Perché sia fugato ogni sospetto iettatorio, va detto

ritratto dell'atleta da... grasso? ubriaco?

È tornato abbastanza in forma, a giudicare dalle foto.
Linguaggio del corpo entusiasta, moralmente e fisicamente impeccabile.

Pare già di vederlo fare l'aeroplanino in onore di Montella...

martedì 22 febbraio 2011

ma la notte... altro che serie a


Forse perché nessuno voleva perdersi la mezz’ora di canzoni, nemmeno fossero al caminetto di casa loro, a firma Morandi e Ranieri. Forse per godersi lo spettacolo di Blake Griffin che, oltreoceano, per essere precisi nella città degli angeli, fluttuava sopra il cofano di un’auto, mentre un altro folle gli alzava una palla a spicchi dal tettuccio della stessa, e andava a canestro per vincere la gara delle schiacciate NBA (il tutto mentre un coro gospel sul parquet salmodiava “I believe I can fly”). Forse semplicemente perché il calcio italico ha il suo bell’agio a dimostrarsi meno che catatonico. Fatto sta che le emozioni meno soporifere del weekend le hanno offerte più i casi velenosi e spinosetti che il pallone in sé.

diciassette porta sfiga

Abbiam fatto sedici, facciamo… senza. Il Barça, che solo un’occhiata fa ci aveva fatto saltare sulla sedia mandando in tocchetti un record cinquantenario, scrive la fine alla serie di vittorie consecutive, anziché strapazzare il Gijon e fare diciassette, come tutti avrebbero immaginato.

Niente di grave per quelli di Pep, sia chiaro, ma è comunque un fatto che il tiki-taka catalano, sempre così veloce da stordirti e non farti capire com’è che la palla ti stia fissando immobile dall’altra parte della tua linea di porta, questa volta si sia inceppato. Ed è altrettanto un fatto che ventiquattr’ore dopo, quegli altri, quelli del record perso e che arrancavano in classifica, per i nervi tesi di un certo Specialone, giocavano in dieci dal secondo minuto ma spaccavano la porta con il terzino Marcelo, facendo tre punti sull’altra sponda di Barcellona (quella dell’Espanyol di cui quasi nessuno, nemmeno a Barcellona, si accorge mai). La classifica, adesso, dice più cinque azul-grana. Stiamo a vedere e aspettiamoci che sia Messi sia Ronaldo non siano felicissimi di non aver timbrato, a questo giro, e non vedano l’ora di sistemare la faccenda.

Approfittiamo dello spettacolo insolitamente scarno della vetta per dare un’occhiata più sotto. L’altra di Madrid, quella biancorossa cara ai materassai (colchoneros), si firma Atletico ma i suoi, di atleti, non stanno avendo un periodo felicissimo. Con la metà dei punti dei concittadini galleggiano in mezzo alla tabella, perdendo pure in casa dal Valencia. Questi, che erano partiti a razzo per poi mollare, tornano comunque davanti al Villarreal che sembra aver smarrito la rotta. Sconfitta anche a La Coruña, Giuseppe Rossi e gli altri del Sottomarino Giallo stanno perdendo il treno Champions (saranno avversari del Napoli in Europa League).

A Santander temevano la retrocessione. Ora respirano più tranquilli, battuto 3-2 il prestigioso Siviglia che, invece, condivide le sorti senza arte né parte dell’Atletico Madrid. Straordinari, di contro, gli altri atletici, quelli tutti baschi di Bilbao: quinti in classifica, un vero peccato la sconfitta per 1-0 a Maiorca che ne frena le ambizioni di Europa nobile. Il Getafe è la terza squadra di Madrid, ma va meglio dell’Atletico pur avendo solo pareggiato col disperato Malaga, ultimo. Se lasciamo cadere l’occhio sulla lotta salvezza, però, scopriamo un intrico di speranzose da far girar la testa: sono coinvolte, oltre a Osasuna, Almeria e al citato Malaga, altre sei squadre, dall’Hercules di Alicante al Real Zaragoza, passando per Santander, Deportivo, Levante e proprio lo Sporting Gijon indigesto ai catalani campioni.

Torna la Champions, Barça e Real qualche ambizione ce l’hanno anche lì. Ci divertiremo.

pazzini chi? ecco matri!

Toh, chi si rivede. Una Vecchia Signora, che tutti già avevano salutato come si fa in stazione con la pensionata che sale su un treno per le Cinque Terre liguri e va a curarsi i reumi. E invece la Signora è orgogliosa. Si ricorda che hanno infangato il suo blasone e, soprattutto, si ricorda che quelli lì di fronte, con le strisce nere e le altre azzurre, sono quelli che si fanno chiamare “onesti”. Intendendo, nemmeno troppo velatamente, che l’epiteto opposto vada appiccicato ai cavalieri della Signora. Ha un bel dire, Leonardo, che Calciopoli ormai è vicenda noiosa e sarebbe ora di finirla. Gli inquilini torinesi, i protagonisti della suddetta storia, hanno ancora qualche sassolino da togliersi dagli scarpini, qualcosa della taglia di uno scoglio. E domenica notte hanno pensato bene di rovesciare quel fastidio sul prato dell’Olimpico torinese.

Chi avrebbe scommesso che i delneriani avessero le armi per frenare la rimonta dei Campioni? Ma, al di là dei luoghi comuni sulla palla rotonda e di altre amenità simili, nel pallone vinci se corri e la Juve ha corso di più, ha corso meglio e pure di squadra. Per questo, assistendo alla novantina di minuti più attesa della giornata, la sensazione che un’impresa alquanto inaspettata si stesse materializzando andava facendosi sempre più vivida. Matri confermava di essere un acquisto per davvero con l’1-0 (salvo mangiarsi il comodo raddoppio in fotocopia). L’Inter dava l’impressione di non saper bene cosa combinare, e allora a mali estremi estremi rimedi: palla di Maicon per Leone Eto’o, porta vuota e tutto a posto. Non stavolta. La traversa trema ancora e il segno che doveva finire così è tracciato.

Apprezza piuttosto anzichenò il Naviglio altro, che si bagna di rossonero. Sabato, in vista dello sbarco da Londra del Tottenham – in calendario martedì (avete saputo? torna la Champions!) – i primi della classe avevano maltrattato i giallorossi del prosciutto crudo: Milan - Parma 4-0, centesimo gol per Cassano che ci infila pure due assist degni di Fantantonio e, alla luce della domenica, più tre in classifica dai cugini. Ma non dal Napoli, che continua a correre come Lavezzi. E come Cavani, 24 anni oggi e 20 gol in campionato, pochi? fate voi. È certo che, se la sfida dell’Olimpico di Roma doveva dirci come i giallorossi sarebbero rientrati nel giro tricolore, adesso sappiamo che gli azzurri di Mazzarri resteranno lassù, per Ranieri invece parecchie gatte da pelare, ammesso che gli resti una panchina sotto il sedere.

Detto della vetta, laddove si riaffaccia la Lazio corsara a Brescia (0-2), appena sotto arriva l’Udinese che continua a marciare a ritmi misteriosamente elevati. La squadra più in forma del campionato ne dà 3 al Cesena, non stiamo nemmeno a dire se Di Natale ha segnato anche stavolta. Nella gara del pranzo, il Palermo che vinceva sempre in casa perde tra le mura amiche dalla Fiorentina che non vinceva fuori da un anno, evento tipico di una giornata sorprendente se ce n’è una. Se tra Bari e Genoa finisce senza gol ma non senza noia, il Cagliari strapazza il Chievo e costruisce una classifica notevole assai (35 punti). Catania e Lecce decidevano chi si inguaiava in fondo, e i siculi dicono “tocca a voi” ai giallorossi e peggio per i pugliesi. La Samp partiva a cento all’ora e stroncava il Bologna, così lanciato nelle giornate precedenti, con tre gol in un quarto d’ora.

Ah, le coppe europee vi sono mancate? Signori, preparatevi, il bello della stagione arriva ora.

barça, la storia che si fa

Ci si accorge di stare davanti alla Storia? Quella prodigiosa invenzione che chiamiamo anche umanità e ci porta a crederci i protagonisti di un romanzo di formazione, la sentiamo passare? Certamente ci proviamo, registrando tutti i fatti, fino ai più minuscoli, per confrontare ogni realtà nuova con tutte le precedenti e stupirci quando i limiti vengono superati, gridando: “Record!”.
La banda azul-grana di Barcellona – sul cassero l’ammiraglio Guardiola, ai suoi ordini sul ponte il triumvirato Messi-Iniesta-Xavi – sta facendo la Storia a colpi di record sbriciolati. In casa ha vinto 10 volte su dodici, fuori ha sempre vinto ma la novità della ventiduesima giornata è l’ennesimo colpo inflitto agli eterni rivali in smoking bianco. Stavolta, però, l’obiettivo non è stata la classifica: il distacco tra le due rimane invariate, i Mourinho’s superano in carrozza la Real Sociedad (4-1, Kakà, doppio Ronaldo e Adebayor) e rispondono alla strapazzata del Barça agli altri madrileni, i materassai (scrivete Messi per tre volte). Ma proprio la vittoria sull’Atletico scrive la Storia della Liga.
Da oltre cinquant’anni, il Real Madrid di tali Di Stefano e Puskas deteneva il record di avversari messi in riga uno dietro l’altro: una fila di quindici vittorie. Indovinate un po’? Quei sacrileghi catalani hanno fatto sedici. Adesso non scherziamo più, capite? Finché sono i mourinhiani a doversi sorbire le umiliazioni dei nemici, è un conto, il presente tutti se lo dimenticano già mentre passa. Ma al tifoso madrileno non gli devi toccare il blasone reale di cui si ammanta: se poi è proprio l’odiato Barcellona a strappargli i gradi dalla livrea, state certi che in Spagna se ne accorgono, della Storia che si fa.
Sedici vittorie consecutive è un risultato tanto semplice da dire e immaginare quanto impensabile da realizzare. Almeno, era sempre stato così, prima del Barça del nuovo decennio. E non sembra che gli inquilini del Camp Nou abbiano intenzione di chiudere la serie tanto presto. Questi vincono sempre, divertono ancora più spesso con un calcio stellare, mandano in campo il giocatore più forte della sua epoca (sempre l’omino che ha scritto il record con una tripla e si terrà il pallone come ricordo), insomma: se avete due soldi e volete fare un regalo ai vostri bimbi, portateli a vedere il Barcellona, non ve ne pentirete.

milan non era fuga, e comunque è finita

Siamo solo all’inizio di febbraio ma certi freddi bilanci vien fatto già di tirarli: l’inverno della piana norditalica non finirà prima del solito come speravamo; tira e molla un governo che governi, al Paese, non si riesce a darglielo; McDonald’s ha già lanciato il panino della nuova stagione; e il Milan non aveva già vinto lo scudetto, anzi, a ben vedere in via Turati farebbero bene a sigillare le finestre perché, se va avanti così, il sorpasso dell’Inter smuoverà un bel po’ d’aria che rischierà di scombinare le carte sul tavolo del Siòr Galliani.

In una settimana ne succedono di cose! Un attimo prima stavamo lì a vedere Allegri che, con tre punti a Catania e l’Inter sotto 2-0, contemplava compiaciuto il pallottoliere ormai rossonero. Non immaginava ancora che quello sarebbe diventato il Pazzo-day ma, soprattutto, che avrebbe sgonfiato le gomme ai suoi. Passando per il doppio palo di Ibra contro la Lazio e la vittoria – senza espulsione di Chivu – dell’Inter a Bari, quando Pato, a metà del primo tempo genoano, infilava facile facile l’uno a zero (stordente capacità di Ibra, col suo assist, di far sembrare facile ciò che è geniale) gli spiriti rossoneri si alleggerivano un poco. Solo per ricadere ancora più rumorosamente quando una carambola al limite dell’incredibile mandava in porta il neo-grifone Floro Flores. Quel che però inchioda i rossoneri davanti a qualunque corte pallonara, evidenziandone anche le inadeguatezze al compito di cucirsi lo scudo sul petto, è il secondo tempo del Marassi: quarantacinque minuti e spiccioli di inutilità più pedante che pedatoria. In soldoni: così i campionati non li vinci.

Togliamo il non che sta un po’ tra i piedi, invece, se guardiamo ai fatti di San Siro, mentre le luci si spengono al termine di una sfida da qualche anno sempre suggestiva: L’Inter ha resistito alle sbandate impostegli dalla brillantezza giallorossa, i suoi supereroi – nelle calzamaglie di Eto’o, Sneijder e Julio Cesar – sono tornati a regime e decidono quando e come stravolgere le partite e il rischio di subire non spaventa più i nerazzurri, semmai li carica. L’impressione, pur con delle evidenti ombre difficilmente indipendenti dai meriti romani, è che i Leonardiani fossero in grado di fare un po’ quel che gli pareva, dell’esito del match, perfino quando concedevano due gol ai dieci rivali residui, illudendoli con l’idea di rimonta.

Mi si perdonerà se le vicende della vetta monopolizzano più attenzioni, del resto altrimenti non potrebbe essere proprio ora che sembra avvicinarsi la resa dei conti al primo posto. Appuntamento al quale il Napoli non ha alcuna intenzione di mancare. Preso per mano da un omino che la mette in porta con una qual certa regolarità, l’asinello azzurro trotta felice a soli tre punti dal Milan; quell’omino si chiama Edinson Cavani, di professione fa il matador e a far piovere rose e passione su di lui è ancora una volta l’arena del San Paolo, mentre lui affossa elegantemente ma senza pietà il Cesena. Così, a mettere un dito ma del piede tra le vicende milanesi c’è anche Mazzarri con la sua banda di scugnizzi.

Le altre: la squadra più in forma della Serie A, di casa al Friuli, strapazza la tramortita Samp (2-0). La Juve completa il tour delle isole riportando almeno tre punti, l’ex Matri non si accontenta di salutare i vecchi compagni, lascia pure due castagne per ricordo. Tra le disperate, il Brescia uccide il Bari. Appena più su, il Bologna dice no al Catania, pari tra Parma e Fiorentina, Palermo di rabbia a Lecce (2-4). La Lazio non vola più (1-1 ospitando il Chievo) e la escludiamo dalla lotta di lassù.

come in un film

Lo guardo e riguardo. Un passo, un altro e su. Che bellezza! Rewind, lo voglio rivedere un’ultima volta. Non scende più e colpisce fatalmente. Ok, rimando indietro di nuovo, questa è l’ultima davvero. Avanti al rallentatore. Il pallone attraversa l’aria con un arco, il baleno ce lo mette un uomo che sembra volare, con la testa trasforma tutto e la rete si gonfia. Nel suo secondo gol, Giampaolo Pazzini, l’acquisto “datemi mezz’ora e vi mostro come si ribalta una partita”, è sostanzialmente immarcabile, e non è un concetto così banale da far digerire a un difensore che ci abbia a che fare.

La cosa sublime dello sport fatto con i piedi riguarda gli eventi che non possiamo fare a meno di interpretare come segni, per prevedere come finirà. Nel calcio, l’andamento di questi eventi travalica spesso l’ispirazione più romanzesca e, per farvi un esempio, vi sfido a trovare uno sceneggiatore che avrebbe scritto una storia migliore di Inter-Palermo. Per la squadra sul tetto del mondo, la partita è un bivio decisivo, ma gli avversari sono ossi duri e, al termine del primo tempo, eccoli avanti di due. C’è un primo segno che non tutto è perduto: il palo di Pastore, il numero uno degli avversari, un secondo prima del riposo. Con la forza della disperazione, al rientro i campioni lanciavano il nuovo arrivato, ovviamente il giovane protagonista del nostro film. In 11 minuti, l’eroe si rivela in tutto il suo splendore: un gol spalle alla porta, partita riaperta, che centravanti.

Il copione potrebbe già snodarsi verso un finale trionfale ma Hollywood sa che lo spettatore mi si addormenta senza colpi di scena. E allora Thiago Motta fa una follia (una prima non fischiata l’aveva commessa nel primo tempo) e offre un rigore ai palermitani. Ovviamente lo calcia Javier Pastore, il semidio rosanero. E, altrettanto ovviamente, il portiere Julio Cesar impedisce il dramma e incarica simbolicamente l’eroe di fare il proprio dovere. E l’eroe vola in cielo, colpisce la sfera nel punto più alto e la fa diventare oro, nel sacco. E poi si procura un rigore che il Re Leone Eto’o accoglie, come un dono del suo cavaliere, 3-2. Che Julio Cesar sia il deus ex machina della vicenda lo conferma il salvataggio ai limiti dell’incredibile su Balzaretti, proprio all’ultimo respiro, ad impedire una malevola correzione di sceneggiatura.

Titoli e inchiostri si sprecano, facendo giocare Pazzo e Inter tra loro. I Leonardiani non perdono di vista il Milan che, la sera prima, aveva dato un’altra spallata alla Serie A strappando tre punti a Catania. Lo strapotere di Ibra e il tarantolato Robinho valevano più dell’espulsione d’esordio di Van Bommel che lasciava dieci maglie in campo per Allegri. Tre punti per i primi della classe, 0-2. E tutto bene pure per i secondi. Il Napoli se ne frega del continuo interrogarsi se i celesti siano oppure no attrezzati per lo scudetto: Lavezzi continua a seminare seme panico su ogni prato e Cavani raccoglie i frutti e li mette in fondo alla sacca. Tre reti del Matador, condite con un filo d’olio da Hamsik, servono la cena al San Paolo, 4-0. Digiuna solo la Samp, troppo orfana dei suoi ex fenomeni. La Lazio sabato aveva superato e inguaiato la Fiorentina (2-0), mentre l’altra sponda del Tevere si scopriva innevata, a Bologna, e dovrà rigiocare.

Tra Cagliari e Bari i secondi sprecano uno dei tanti rigori di giornata e devono rassegnarsi al 2-1 imposto dagli isolani di Donadoni e, soprattutto, all’ultima buca in classifica, sempre più fonda. Ma solo poco di più di quella bresciana, le tre sberle casalinghe subite dal Chievo hanno il sapore di condanna (e il ritorno di Iachini non genera entusiasmi, per ora). Nel Parma gioca Paletta che, però, tra un ingenuo fallo da rigore, un autogol sciagurato e l’assist svirgolato per il terzo gol avversario, riceverà la maglia onoraria genoana (3-1 per i grifoni). Tra Lecce e Cesena scrivete uno a uno con beffa finale dei romagnoli, pareggio nel recupero. E cala la sera.
Soprattutto sulle ambizioni della Juve. A Torino, non basta la meraviglia acrobatica di Marchisio, troppa la qualità friulana e troppe le ferite scoperte della Signora. Sconfitta 1-2, superata proprio dall’Udinese al sesto posto, la casa calcistica prediletta dagli Agnelli ha tanto da ripensare. Ma mercoledì si gioca già di nuovo.

mou nostalgico o solo invidiosetto?

Gira sempre più vorticosa la storiella che Mourinho sarebbe stanco della Liga, troppo imbrigliato dalle regole di comportamento galatee dei Blancos, già ai ferri corti con la dirigenza rappresentata da Jorge Valdano, irriducibilmente nostalgico dell’Inter e dell’idolatria che ancora anima i sentimenti nerazzurri verso la sua Specialità.

Certo un problema c’è, la storiella d’amore con rottura e appassionato ritorno un inciampo lo presenta: José (48 anni in questi giorni, auguri – e ci scusi se crede di non averne bisogno) partirebbe dallo scranno più regale di Spagna senza aver vinto? Da qui alla fine della stagione le sue Merengues risponderanno a questa domanda, salvo il problema che dicevo poc’anzi. Il Barcellona ha una certa intenzione, in linea di massima, di vincere la terza Liga consecutiva e manifesta questa pulsione naturale dall’alto dei suoi 55 punti in classifica e del miglior modo sul globo di prendere a calci il pallone.

Piuttosto coerenti con la propria grandezza, gli azul-grana ospitavano sabato al Camp-Nou il Santander senza mostrarsi affatto ospitali. Dopo 2 minuti il compitino l’aveva già eseguito Pedro, a correggere e controfirmare ci pensavano Messi e Iniesta e alzi la mano chi è sorpreso dalla notizia. Ben più sorprendente che, poco prima che il Villarreal terzo in classifica battesse 2-1 la Real Sociedad (solo qualche ora più tardi Giuseppe Rossi autografava il rinnovo con il Sottomarino Giallo), la Casa Real faticasse con gli isolani del Maiorca pur sul prato amico del Bernabeu. Kakà, osannato dal primo istante del rientro, toppava l’impegno grossolanamente, al punto che Mou lo ritirava dalle danze dopo un tempo anche a costo di lasciare sul campo il disprezzato Benzema. Il francesino aveva ricevuto in settimana l’ennesimo attestato di stima dal tecnico, che ne aveva garantita l’incapacità di sostituire degnamente il rotto Higuain. Per tutta risposta, indovinate un po’ chi marcava l’uno a zero che teneva i madrileni in scia del Barça, seppur a 4 punti di distacco? Per un giorno, tutti amici del buon Karim e tutto va ben, Madama la Marchesa.

In realtà, qualche piccolo scricchiolio che rischia di decidere la vicenda Liga il Madrid lo lascia avvertire: pur essendo una squadra stellare a livello mondiale, di fronte ai rivali catalani i Bianchi tradiscono qualche affanno in più a far sempre bottino pieno. In questo senso ci vengono in soccorso anche i numeri: alla ventesima gara disputata, il Real vanta il notevole record di 48 gol segnati per soltanto 17 concessi. La media ammirevole, tuttavia, impallidisce se affiancata al 64 contro 11 marcato da Los Chicos de Guardiola.
Insomma, discorso Champions a parte, non sarà che Mourinho è di cattivo umore perché stavolta non è il primo della classe?

fa più freddo in bassa quota

Non per parlare del tempo, ma avete sentito che freddo? Seduto nell’abitacolo desolatamente arido della mia automobile, ormai disperando nel rientro notturno dal posticipo domenicale, attendo che almeno uno spiraglio di strada filtri dallo strato surgelato del parabrezza. E le coltri color tè caldo di camera mia sembrano irraggiungibili, un po’ come accadrà al Bari, laggiù a 14 punti, tentando di scorgere il quarto posto. La coppia Lavezzi e Cavani è torrida, ma solleva le membra soltanto dei napoletani, nello 0-2 del San Nicola. Mentre l’aria secca del riscaldamento mi toglie un po’ il respiro, penso a Brescia e Cesena che, stese da Palermo e Milan, avranno pure loro il fiato corto. Poi Lecce, Catania, Genoa, Chievo, Parma, Fiorentina e Bologna ma, ormai, premo l’acceleratore e, pur senza schiodarmi dalla seconda, sto già conducendo verso casa, la strada snobbata da essere vivente alcuno. Poche centinaia di metri e le fattezze del paesaggio circostante mi salutano familiari attraverso i vetri, con la complicità dei grossi lampioni, la strada è ormai segnata come accade a chi sta lassù in classifica.

E il personalissimo film della serie A prende a proiettarsi dietro gli occhi, così passarlo attraverso le dita e farlo finire qui diventa un gioco: sabato stavo bevendo una birra dietro l’altra mentre, con la stessa disinvoltura, la Roma faceva un, due, tre al Cagliari (in rete anche Totti). Chi poteva immaginare che, meno di ventiquattr’ore dopo, il Bologna senza stipendi prendesse a schiaffi l’altra romana, che finiva per farsi superare dai dirimpettai giallorossi dopo aver fatto volare l’aquila Olimpia anche troppo in alto? Forse nervosa per questo, mentre Di Vaio ne faceva un paio di quelli notevoli (3-1 il finale), la Lazio innescava un paio di gazzarre da saloon, piccolo svago alternativo per lo spettatore annoiato. Quanto a noia, nulla da insegnare al Brescia che provava a lavorare il Palermo a forza di calci e sbadigli: meno dell’avviso Bovo che decideva un match strameritato calciando una punizione sul palo del portiere, momentaneamente assente dalla guardina. Il Parma accoglieva il tecnico argentino e neo-catanese Simeone con le reti di Candreva e Giovinco, grazie e auguri per la prossima volta.

Detto del Napoli, solitaria seconda, e tralasciando volontariamente ogni commento su Chievo e Genoa (0-0) in tributo alla decenza, mi cade il ricordo su Samp-Juve. Non tanto sul campo che, del resto, non ha ospitato novanta minuti tra quelli che si imprimono nella memoria, quanto sull’affermazione da zompare sulla sedia spesa da Delneri, al termine. A suo dire, la Juve è la miglior squadra del campionato. Ecco, si pulisca gli occhiali o smetta di guardare il Barcellona sull’iPhone mentre giocano i suoi. Passando rapido su un triste 1-1 tra Fiorentina e Lecce (ritorno al gol di Gilardino), finisco al pasto di mezzogiorno e rivedo Di Natale, Armero e El Niño Maravilla Sanchez far venire il mal di testa ai nerazzuri leonardiani. 3-1 al Friuli, prima sconfitta per il ciuffato poliglotta brasiliano e rimonta in vetta rimandata per i campioni del mondo.

Anche perché, nella serata siberiana di San Siro, la Allegri’s band domava il Cesena, pur con i suoi bravi affanni. Ancor prima di partire, salutava la compagnia Gattuso e lo sostituiva Yepes, mentre Thiago Silva andava a fare il Pirlo. Poi la spalla di Nesta faceva crack ed era la volta di Papastathopoulos. Ma Cassano, Robinho e Ibra sono un attacco per davvero e a darti il capogiro ci mettono un istante. Il barese inventa di nuovo un’assistenza dai contorni che escludono le parole, Binho fa i cento all’ora anche se non vede la porta e su Zlatan meglio non dire per non essere coinvolti nel suo dominio ai limiti della legalità. Non certo fatta di fuochi d’artificio la manovra dei rossoneri ma, alla lunga, riescono a far male ai romagnoli e a rimettere asfalto tra sé e gli inseguitori. Io, invece, la mia algida rincorsa verso casa l’ho completata, buonanotte.

bolle di sapone e sogni. differenze uguali a rimonte

È scoppiata la bolla. Era fluttuante e leggera, rifrangeva la luce in iridescenti sogni che facevano pendant con le luminarie natalizie. I colori dominanti, ad ogni modo erano tre: gli stendhaliani rosso e nero e un trionfo di champagne stappato a maggio. Poi è arrivata la festosa gita a Dubai e le gambe sono rimaste tra l’acqua cristallina e la sabbia dorata. Così, ripeto, la bolla dei desideri milanisti ha fatto pop.

E adesso abbiamo di nuovo un campionato. Bruttarello, livellato verso il basso ma senza dubbio combattuto in ogni frazione della classifica. Per esempio: sabato al San Paolo non mi accade che il Napoli, secondo in classifica, si incrosti sullo zero a zero con la modesta annata Fiorentina? Ben più logico che, al Meazza, i montanti nerazzurri di Mourin… pardon, di Leonardo schiantino il Bologna. Eto’o fa due gol, un paio di assist e, in linea di massima, non si ricorda l’ultima palla giocata dal Nove senza che diventasse decisiva.

Domenica, giorno del Signore se ne avete uno, ma del campionato anche se non vi importa. Tra Cagliari e Palermo, le prescelte per allietarci il convivio, sono botte da orbi nel primo tempo, e un gol irregolare di Matri ci scappa. Ripresa spettacolare ma sono i sardi a spuntarla con buone gambe e conclusioni fortunate: 3-1 e la cura Donadoni fa affacciare il Cagliari sulla sinistra della classifica. Il Brescia attende il Parma, come capita spesso chiude il primo tempo avanti (splendida castagna di Bega da lontano) ma, stavolta, non c’è rimonta bensì raddoppio (Diamanti): speranze di salvezza. Di Catania e Chievo non si ricorda granché, ad un certo punto, tra tanta corsa e tante botte, sbuca un gol e poi un altro. Poi l’arbitro manda tutti in doccia, 1-1.

L’Udinese marca un totale di otto gol in due trasferte, pochino, dite? Fatto sta che il Genoa non se l’aspettava e, nonostante una perla di Milanetto, se Eduardo (sciagurato portiere rossoblu) non smette di regalare gioie agli avversari, son dolori. 2-4 e tanti saluti. Gli altri bianconeri, quelli di Gatto Delneri, superano il Bari, ma che fatica! Punizione alla Del Piero e Aquilani per farne due, in mezzo un pareggio di Rudolf (no, non la renna di Babbo Natale).

Le romane vanno di misura, 1-0 per entrambe. La Lazio torna seconda con un colpo di testa di Kozak che affossa i genovesi blucerchiati nel finale. Ma ancor più bruciante è la sconfitta sul filo di lana di un bel Cesena. La Roma si scopre arruffata e non esce dal pareggio finché, da una mischia con doppio fuorigioco non esce un’autorete di rara opportunità per Ranieri. Tre punti su cui è un delitto sputare.

Calano le ombre, anche sul Via del Mare di Lecce. Se cinque punti in quattro partite vi sembrano una media scudetto, be’, o non avete esperienza di campionati oppure semplicemente non capite come funziona il pallone. Il Milan insiste con la politica “trotterelliamo in campo e aspettiamo che Ibra ce la mandi buona”. E Ibra fa qualcosa di illegale, impossibile da spiegare e figuratevi da difendere. Gli lanciano una palla inutile e sonnacchiosa e lui, spaparanzato sul divano di casa, decide di travolgerla con il sinistro e spedirla a fil di traversa. Certo, se poi queste gare non le chiudi, un Olivera qualunque farà uno a uno su angolo e tu avrai due punti di meno. Come dire: avrai scoppiato la bolla.

messi balon de oro


Correva l’anno 2010. Ma a correre di più era un piccoletto dalle forme nient’affatto atletiche, con i capelli lunghi e spettinati e l’espressione sfigata. Costui si era ritrovato giovanissimo a trattare il pallone per lavoro, timbrando il cartellino alla FC Barcellona S.p.A. e, nonostante lo facesse ormai da anni, si guardava attorno ancora con gli occhi di chi fosse appena sbarcato a New York con la valigia, impacchettata in qualche landa lucana o sicula, tenuta solo dallo spago. Lo stupefatto ex-rachitico rispondeva al nome di Lionel Messi e, in quel tempo tanto quanto in questo, gli esperti andavano dicendo che proprio quel dato anagrafico era sinonimo di “calciatore più forte al mondo”, mica pizza e fichi.

La dissolvenza filmica ci porta fino al 10 gennaio 2011. Le luci sono accese su tre volti un po’ spaesati ma noti a chiunque, in una sala grandiosamente addobbata e piena di uomini distinti in abito scuro. C’è un altro uomo, speriamo non si offenda il suo ego per tale modesta definizione, che sorride sardonico: poco fa i riflettori erano tutti per lui, lui che più di tutti la considerava la situazione più naturale e onesta di questo mondo. Lo Specialone in questione è José Mourinho e sorride perché ha convinto la platea prestigiosa a tributargli il titolo di miglior allenatore pallonaro; non che lui avesse un solo dubbio sul fatto che il rango gli spettasse ma, insomma, sentirselo dire dagli altri ti rinfresca l’ego meglio di una mano di vernice bianca.

I tre cui abbiamo accennato, invece, portano sulle spalle (sotto la giacca elegante) i nomi di Xavi Hernandez, Andrés Iniesta e, guarda alle volte il caso, Lionel Messi. Tutti i cronisti, dall’alto della loro venerabile conoscenza, ciarlano da tempo di come sarà Iniesta a esser consacrato il miglior giocatore dell’epoca appena trascorsa: Andrés è un giocatore di calcio meraviglioso, tocca la palla come nessuno sa fare e tutto quel che vi pare. Ma, più di tutto il resto, è il giovanotto stempiato che ha insaccato la rete decisiva in un certo momento e in un certo posto che gli dèi avevano deciso fossero la capitale sudafricana durante la finale della Coppa del Mondo.

Eppure. Quando Pep Guardiola, l’elegante capobanda del FC Barcellona e quindi, guarda un po’, pure dei tre eroi illuminati, pronuncia il nome del nuovo Ballon d’Or, tutti si stupiscono di sentire un suono inatteso riempire la sala: “Lionel Messi”. Proprio il piccoletto. E sapete una cosa? È giusto così: Iniesta avrà deciso il Mondiale, Xavi era lì accanto a lui a sollevare la Coppa e tutto quanto. Ma Leo Messi è il “calciatore più forte al mondo”, ricordate? Sta tenendo il Barça in vetta alla Liga segnando più di un gol a partita, fa stropicciare gli occhi a vecchi e bambini da tutto il mondo e, se gli altri due sono dei centrocampisti indescrivibili se non con lo stupore, lui non leva solo il fiato ma anche il pensiero, con il suo calcio.

Spero ci scuserete se abbiamo divagato dagli eventi della Liga, ma avrete notato che (sarà un caso?) i protagonisti di questa storia stanno tutti nel campionato spagnolo, campionato che, peraltro, non regala sorprese degne d’attenzione: le prime vincono sempre, delle altre non si è accorto quasi nessuno.

tonnara a san siro, il milan lascia due punti

È andata. Nel senso di girone, quello che s’è chiuso. Da ora fino a maggio, niente più inediti, ogni incontro sarà una ripetizione, solo ogni volta in un teatro diverso. L’ultima serie di gare del primo tour è stata una mezza follia, tanti sacchi gonfiati e parecchio sfilacciate le maglie delle reti difensive. La classifica ribadisce il verdetto (inutilmente pomposo e ciarliero il giusto) già espresso dalla befana: Milan campione d’inverno, le altre arrancano un po’.

Salvo l’Inter che, spalmato sulle ferite autunnali l’ottimo unguento Mondiale per Club, si presenta con le piume lucide e il petto gonfio, agli ordini dandy del poliglotta Leo: i nerazzurri, svegliandosi a Catania da un primo tempo soporifero, ne fanno due con Cambiasso e, mentre ribaltano un preoccupante svantaggio, ricevono confortanti notizie dai cugini in vetta e si riscoprono matematici. Pallottoliere alla mano, le somme ci dicono che gli undici punti di distacco dal Milan, uniti alle due gare da recuperare, potrebbero significare un distacco reale di 5 lunghezze. Altro che campionato chiuso.

Altre pretendenti al trono escono frastornate dalla giornata: la Roma prima domina la Sampdoria a Genova, rischia di raddoppiare il vantaggio di Vucinic, poi pasticcia inspiegabilmente e si trova al triplice fischio in dieci uomini e senza punti tra le dita. Vincono i locali, grazie al rigore di Pozzi e a Guberti. Questo accadeva all’ora di pranzo; poche ore dopo i dirimpettai romani in maglia biancazzurra non facevano una figura migliore e, nel teatro dove vola Olimpia, si facevano dare due sberle dal Lecce penultimo. Ecco perché ora leggiamo Lazio a meno 6 dalla cima così a lungo presidiata.

La prima della classe aveva poco da fare la spavalda, con l’Udinese sbarcata al Meazza. Invece c’erano in campo contemporaneamente Seedorf (inqualificabile), Robinho, Pato e Ibra. A fronte di cotanta nomea, Sanchez e Di Natale facevano impazzire Bonera, Abate e Antonini. A metà del secondo tempo i bianconeri erano avanti 3-1 (due doni natalizi postumi di un Milan naufragante) e la partita diventava una tonnara difficilmente definibile “calcio”. Nel quarto d’ora finale i rossoneri inserivano Cassano a dispensare assist misteriosi quanto geniali e prima pareggiavano dando l’illusione di un trionfo, poi finivano sotto di nuovo e, all’ultimo respiro, scrivevano 4 a 4 grazie a Ibra e si scoprivano contenti di non aver perso.

Mentre tra Cesena e Genoa si consumava lo stesso spettacolo che offrivano Chievo e Palermo, trattasi di doppio zero a zero e miseria per chiunque creda ancora nello spettacolo pedatorio, l’altro thriller di giornata andava in scena a Firenze: il Brescia, ormai con l’acqua alla gola, terminava il primo tempo avanti di due (meraviglioso il secondo gol, punizione di Cordova da cavare il fiato). Come troppo spesso accade alle Rondinelle, si dimenticavano che di blocchi da quarantacinque minuti, di solito, se ne giocano due: la Fiorentina faceva uno, due e pure tre, l’assassino porta il nome di Ljajic che firmava il delitto con il piede destro. Col Cagliari vincente a Parma (1-2) e il Bologna corsaro a Bari (0-2), calavano le ombre e si accendevano i riflettori del San Paolo.

Si dovrebbe aver da dire molto, su Napoli-Juventus, ma francamente i bianconeri sono risultati imbarazzanti e crediamo di far loro un favore a citare soltanto il Matador che li ha stesi con una tripla incornata: Edinson Cavani, 3-0 per il Napoli e tempo scaduto per noi, ma forse anche per la Signora.

epifania: e leonardo si rivelò ai discepoli

Eravamo lì, sospesi tra la mestizia e il sollievo del daffare epifanico, rimbalzando tra spegnimenti di luminarie e abbattimento di alberi in plastica e palle (ormai rotte). Le feste stavano finendo e la Serie A non perdeva l’occasione di farci pesare (o ringraziare) il ritorno della quotidiana norma. Tutti in campo, tutti uguali a prima che si aprissero le finestrelle al cioccolato sui nostri calendari. Non proprio tutti, però. Raffaele Benitez dall’Iberia era già a casa da alcuni giorni, Leonardo il cittadino del mondo aveva attraversato il Naviglio Grande e, tanti saluti al Diavolo, era il nuovo inquilino della panchina nerazzurra.

Tuttavia, ad accompagnare l’ultimo brindisi e lo stravolgimento delle calze ad alto contenuto di zuccheri, erano i giovanotti di Delneri: a Torino venivano quelli del duca di Parma e si consumavano dei drammi per la Signora. Prima Quagliarella salutava il suo ginocchio, poi Melo poneva piede scarpa e tacchetti sul volto di Paci e veniva invitato dalla giacchetta a guadagnare gli spogliatoi. Infine, doppietta di Giovinco, rigore di Crespo e pure Palladino; fate 1-4 e carbone anziché punti dalla befana bianconera.

Nel pomeriggio il Milan andava a Cagliari con assenze importanti e pareva proprio non saper uscirne con un bottino degno della capolista. Contemporaneamente, la Roma ospitava i catanesi e faticava a sua volta non poco. I rossoneri facevano e disfacevano, sarebbero pure andati sotto se un palo misterioso non avesse graziato Abbiati, ed orfani di Ibra assistevano agli errori di Pato e Robinho. Ancor più rimpianti li faceva sorgere la doppietta dell’ex Borriello, ormai giallorosso, che rimontava sul 2-2 il Catania. Il mondo attraversava lo stesso giro d’orologio quando Vucinic, all’Olimpico, e Strasser, fanciullesco centrocampista di Allegri, azzeccavano il vantaggio decisivo per i rispettivi tre punti. A proposito di nuovi arrivati, l’assist per la vittoria rossonera è di un certo Antonio Cassano.

L’altra aspirante scudettara era la Lazio, sono certo che ve lo ricordaste. Ad averlo dimenticato erano quelli di Reja, però, e novanta minuti a rincorrere i grifoni di Genova non bastavano a rinfrescare la memoria. Zero a zero e vetta della classifica che si alza ancora un po’. Intanto il Palermo legittimava le sue ambizioni di blasone e schiantava senza appello gli altri genovesi, quelli in blucerchiato. A questo punto, i rosanero toccano quota 30 e mettono la freccia alle spalle della Juve. Bologna e Fiorentina si dividono un 1-1 non memorabile e rimangono entrambe impantanate nella parte bassa della tabella. Il derby tra le pugliesi è anche incontro dei due fanalini di coda: passa il Bari, è il nuovo arrivato Okaka (prestito dalla Roma) a inventarsi uno squarcio di talento nella trama di un pareggio già scritto: fa uno a zero da fuori area e la Ventura band crede nella rimonta salvezza. Scontro salvezza anche tra Cesena e Brescia, in terra lombarda ma con successo romagnolo: 1-2 e notevole tuffo dei bianconeri fuori dalla disperazione. Prima del posticipo, solo il 2-0 dell’Udinese sul Chievo, l’irriducibile Totò Di Natale è sempre in cima alla capocannonieri.

Ma dicevamo di Leo. In mezzo ai proclami guerreschi di General Mazzarri, l’avventura sulla panca di San Siro che era sempre stata rivale cominciava per il brasiliano contro il Napoli secondo in classifica. Nei novanta minuti si avverte una nuova tensione tra le maglie nerazzurre, differenza di potenziale che, unita alla grande prova con due reti di Thiago Motta, affondava gli asinelli azzurri. Considerate le due gare da recuperare causa gita araba, l’Inter si ascrive certamente alle pretendenti, e l’opera di Leonardo si vede già (scusate se è poco) negli abbracci commossi che gli tributano i suoi nuovi ragazzi, già conquistati dal suo ciuffo.

stile mou

Avete presente quando, oramai imbattibili artigiani del vostro videogame pallonaro preferito, riuscite a costruire una squadra perfetta e il vostro gioco spumeggiante vi consente di asfaltare ogni rivale che il gioco vi opponga nel campionato virtuale? So che sapete di cosa parlo: dopo l’iniziale esaltazione, magari condita dalla vostra telecronaca che scimmiotta quelle celebri di Sky e incorona i vostri ragazzi come undici Palloni d’Oro, arriva la consapevolezza che tutto è troppo facile e, senza sfide, insorge la noia. E qui entra in scena il Barça di Pep Guardiola: un gruppo di giovanotti con del genio misterioso nei piedi e il vizio di segnare cinque gol a partita (qualcosa di più: 26 nelle ultime cinque gare!). Ma soprattutto, e ringraziamo i vari dèi cui vi affidate, i blaugrana sono una fonte di spettacolo praticamente inesauribile e di spettatori annoiati dopo una loro uscita i libri di storia non riportano notizia.

Sabato sera era derby di Barcellona, al Cornellà l’Espanyol ospitava i campioni. I biancoazzurri sognano la Champions, ma difficilmente gli servirà aver giocato con i concittadini: undici folletti impegnati a mettere nel sacco i regali per i loro fedeli, come comanda Babbo Guardiola. Alla fine ne incartano cinque, segnano due volte Pedro, due Villa e pure Xavi. Mentre Villarreal e Valencia rafforzavano i loro terzo e quarto posto e l’Atletico Madrid ne dava tre al povero Malaga, quelli in Bianco Reale avevano ventiquattr’ore per innervosirsi, grazie all’ennesimo saggio di forza dei rivali.

Ed erano nervosi, altroché, quando al Bernabeu è sbarcato il Siviglia. Partita dura, parecchi calci e poco gioco, questa volta il Madrid non ha la forza di rispondere per le rime ai catalani. Carvalho viene cacciato con due gialli nel groppone, e in dieci uomini le sirene di Barcellona alzano il loro rumore. Ma Mourinho ha un Angel custode, di cognome fa Di Marìa e se finisce uno a zero è per un suo regalo. Non occorrono regali, invece, al sempre modesto tecnico portoghese per dare spettacolo in conferenza stampa. Evidentemente doveva essergli giunta voce dell’ira di Benitez e poteva lui essere da meno? Dopo la vittoria, Mou si presenta con un A4 pieno di errori arbitrali, a suo dire a danno delle Merengues. E via di polemiche contro tutti, in primis contro i dirigenti stessi del Real, rei di non difendere la loro squadra.

Mettiamola così: il Real resta a meno due, davvero poco da invidiare al Barça. Questo almeno sul campo, quanto a stile, invece…

il rafa furioso

Ehi, avete sentito Rafa? Vedi un po’, quanto se l’è presa! Quello lì sarebbe il pacioso Benitez, quello con la pancetta simpatica durante gli allenamenti, il tipo che tutti incolpano per l’Inter che balbetta? Mica ha aspettato di perdere ancora in campionato, no. Alla conferenza stampa dalla cima del mondo, ha svuotato il caricatore, ché da lì sopra ti vedono tutti. “Voglio rispetto e supporto. Per questo allenatore, nonostante le promesse, è stato speso zero, niente. Tre possibilità. La prima: comprare giocatori; la due: andare fino a maggio senza progetti e un solo colpevole; terzo: parlare col mio procuratore e trovare una soluzione diversa”. Hai capito il Rafa! Parla dopo una finale, come Mourinho, e ribalta i rapporti di forze, incolpando la società. Questo almeno, secondo me. Secondo tutti i commentatori tv, è solo un pirla che cerca un alibi. Mi lasciate dire che, se fosse stato lo Specialone, el siòr Moratti avrebbe già sciolto, ma che dico, tagliato con una scure il gordiano nodo al danaroso borsello? Ma eravamo qui per parlare di Serie A, avete ragione.

Terremoto natalizio, lassù: solo sei giorni dopo essere stato celebrato come forza unica del torneo, il Milan ospita una rivale e perde di nuovo. Proprio come contro la Juve, e similmente nei modi. La Roma si chiude, colleziona tipo zero tiri in porta, ma invece Abate tira addosso all’ex Borriello e finisce 1-0 per i lupetti. E i rossoneri se n’erano mangiati, di gol! Almeno un paio di volte Ibra, una pure Robinho. Ma è il calcio, bellezza, mica una partita di bridge: se non corri, puoi salutare e ringraziare. La capitale giallorossa si issa così a meno 7, ma è quella aquilata che fa anche meglio. Come pranzo domenicale, la Lazio si pappa l’Udinese, anche se con qualche boccone insidioso. Partita con poco ritmo ma tanti errori, la palla dondola spesso vicina alle linee di porta e non disdegna di superarle, pure. Finisce 3-2 e Olimpia rivede le maglie rossonere a portata d’artiglio, buon per Reja.

E per Mazzarri, perché lì accanto c’è pure il Napoli. Battuto il Lecce, ma Cavani è sostanzialmente illegale, se può prenderla quasi sulla linea di mezzo, al terzo minuto di recupero, far fare la figura dei birilli a quattro avversari e scaraventarla nel sacco da mezzo chilometro. Mica lo chiamano El Matador a caso, mettici pure che ad ogni assassinio lo ripagano con tre punti, tanti quanti ne mancano dal Milan, e puoi star certo che a Napoli si stanno divertendo. Si divertono meno a Torino. Pure la Juve poteva passare le feste a meno tre dall’empireo, e invece. Invece la rovesciata di Quagliarella, un rigore parato da Storari, il raddoppio sfiorato in dieci sono solo un preludio: il pezzo forte è di Pellissier al giro di lancetta numero 93. Fetta di pandoro indigesta per Delneri a Chievo.

Scendiamo profondi in classifica. Sabato il Cesena faceva la voce grossa col Cagliari, i sardi di Donadoni spaesati dalla riviera romagnola, ne approfittava l’ex interista Jimenez e, per la salvezza, i bianconeri ci sono. Il Bari ultimo della carretta strappa un punto al Palermo, a dire di Delio Rossi rubando il rigore dell’1-1. Difficile dire se i pugliesi di Ventura possono risalire la china, almeno quanto dire delle condizioni di Brescia, Parma e Bologna. I primi perdono dal Catania, le altre fanno 0-0 tra di loro e tutte sono impantanate lì sotto.

Infine, metti una sera a Genova, pizza e derby della città. Contrordine, nevica, non mettere niente (nemmeno i teloni, a quanto pare).

europa. no, l'altra

C’è un’Europa che non scende in campo di martedì né di mercoledì. C’è un’Europa che non è quella dalle grandi orecchie, ma nemmeno dal grande occhio della tivù (almeno, non così grande). C’è un’Europa, guarda un po’, che all’Italia sembra non importare per niente. Eppure, proprio in virtù di quell’Europa lì – pardon – League, dall’anno prossimo nell’altra Europa, quella tutta stelle e musichette, ci sarà un’italiana in meno. Al termine dell’ultima giornata della coppa che non è la Champions, le pagelle delle italiane confermano quanto già scritto: accanto a Juventus, Palermo e Sampdoria appare la dicitura “Non promosso”.

La consolazione, comunque, arriva: il Napoli chiude a 7 punti, sufficienza piena e avanti. Gli azzurri di Mazzarri ospitavano lo Steaua di Bucarest, chi vince passa (al primo posto irraggiungibile c’era il Liverpool): e vince Edinson Cavani, uno che segna con la frequenza e la naturalezza con cui respira, anche se stavolta gli servono 3 minuti oltre il novantesimo.

La Juventus aveva sempre pareggiato e, se c’è una cosa in cui la Signora è inarrivabile, trattasi dell’eleganza della coerenza: così, sbarcata alla corte del Man (City) di Man(cini) (già qualificato in testa al gruppo A) disegna 1-1 sul tabellino. Segna Niccolò Giannetti, classe ’91, non malissimo. Ultima giornata inutile, nel gruppo I, della Samp, che sfidava l’altra reietta, il Debrecen. Perché non si dica che i blucerchiati non hanno fatto un regalo a ciascuna rivale, segnate un 2-0 per gli ungheresi e non se ne parli più. Anzi, un’ultima cosa: ricordate che la Samp giocò i preliminari di Champions, vero? Ci resta il Palermo che, nel gruppo F, è stato eliminato da Cska di Mosca e Sparta Praga. Ultima gara con il povero Lausanne (1 punto soltanto) e vittoria dell’inutilità, l’1-0 è dell’argentino Muñoz.

Al di fuori dei nostri confini, non è che manchino le sorprese: i greci dell’Aris, allenati dall’immarcescibile Hector Cuper, passano il turno alle spalle del Bayer di Leverkusen; di per sé, non sarebbe granché, se non fosse che a farne le spese è l’Atletico di Madrid, che fa 1-1 proprio in Germania e si vede scippare la qualificazione. Per quel che conta il parere di chi scrive, siamo di fronte ad un’altra squadra dal grande organico che prende sottogamba l’impegno minore in Europa. Non così il Villarreal di Giuseppe Rossi, che a Bruges ne fa un paio e garantisce il primo posto ai gialli. Prestigio anche tra Siviglia e Borussia Dortmund, in palio il passaggio accanto al Paris Saint Germain: 2-2 in terra ispanica e sono i padroni di casa a gongolarne.

I giudici dell’Olimpo calcistico, alla fine, hanno parlato: Italia agli inferi. Certo, non è che ci si sia impegnati a dar loro motivo di ricredersi, anzi, la notizia sembra sollevare gli animi delle eliminate, che non dovranno sorbirsi trasferte irritanti. Si paga con un posto in Champions e la sensazione che, non volendo giocarsela, si sarebbe potuto lasciare l’onere a qualcun altro.

gatto delneri, la signora ha il suo accompagnatore

Luigi Delneri, nato ad Aquileia il 23 agosto 1950, detto Gigi.
Detto anche Del Neri, da chi si sbaglia.
Cominciò il nuovo millennio su una panca gialla nel veronese, ma non era quella dell’Hellas. Gigi, in quegli anni, portò alla celebrità il fiabesco e sconosciuto Chievo, che ne uscì solo un briciolo meno famoso delle grida stridule e troppo accelerate del tecnico. La stagione 2009/2010 la trascorre, con la sciarpa blucerchiata, ad imparare da Cassano come si parla con la mano davanti alle labbra; in cambio, porta la Samp ai preliminari di Champions. Il risultato gli vale l’offerta della Vecchia Signora, che proprio l’estate scorsa stava cambiando la squadra dirigente e assumeva da Genova anche il direttore Marotta.

Così, “Gatto” Delneri di anni 60, friulano, ha per la prima volta l’imperativo categorico di eccellere in campionato, lo esige il blasone più scudettato d’Italia. Partenza col freno a mano un po’ tirato, però: Juventus sconfitta a Bari e frenata in casa proprio dalla Sampdoria (che allora si coccolava ancora FantAntonio). Poi, risultati sempre altalenanti e, quando il gioco di Delneri sembrava aver fatto presa sulle gambe dei bianconeri, le stesse gambe si scoprivano molli la domenica seguente. Per non parlare dell’Europa League.

Già, perché, durante il continuo storcere di nasi degli scettici, che peraltro Gatto alimentava affermando: “Scudetto? Affare per altri”, la Juventus si giocava anche la coppa europea, no, non la Champions, l’altra. E non vinceva mai. Non perdeva nemmeno, ma senza successi non ti qualifichi e, guarda un po’, l’eliminazione arrivava puntuale e gelida, come il campo polacco di Poznan dove finiva 1-1. La sensazione è che non ci sia uno juventino che si sia strappato i capelli, per aver dovuto far le valigie rinunciando all’Europa League. Adesso ci si concentra sul campionato.

E ne vale la pena, eccome. La cura Delneri, infatti, ha cominciato a funzionare se è vero, come è vero, che il Milan è battuto in casa per 2-1 e che, dalla quarta giornata, la sconfitta non è più tornata a bussare. Nel sedicesimo turno, poi, è arrivata la Lazio, che aveva volato sempre alto. E la Juve, trascinata dal primo cavaliere di Re Delneri, al secolo Milos Krasic, l’ha riportata con i piedi per terra e si è confermata come cacciatrice del Milan.

Il Milan, sì. È ancora a più sei ed esprime un gioco certamente più spettacolare. Ma Delneri ha costruito un gruppo, felice di stare insieme e di giocare per lui. E questa forza, adesso, sembra poter spingere la Juve fino a maggio. Adesso, in bocca a Delneri, lo scudetto non sembra più una bestemmia perché Gigi si rimangia l’umiltà di inizio stagione. Ormai sa il fatto suo, al punto da inviare messaggi che sono saluti, nelle orecchie di un monumento quale Buffon, Gigi pure lui.

Il nuovo Olimpo della Juve ha motivi di essere contento, per aver eletto Delneri. Una difesa imperforabile, una continuità di risultati totale, un calcio con le bollicine, sono tutte cose che ancora non dimorano a Torino. Eppure. Delneri si è guadagnato sicuramente la fiducia del suo battaglione e adesso avrà il tempo di condurlo tranquillamente dove meglio gli riuscirà. Se avete un penny bucato da scommettere…

reti piene e casse vuote

Proviamo, in una delle ultime occhiate prenatalizie alla terra spagnola del fùtbol, un gioco diverso dal solito: diamo un’occhiata alla classifica, sì, ma quella di chi riempie il sacco più spesso. E facciamolo in senso ascendente: dopo 15 partite, a quota 6 reti c’è Diego Forlan, il talento uruguagio dell’Atletico Madrid (23 punti e zona Europa League per i colchoneros); accanto a lui, le punte di due squadre in lotta salvezza, Calcedo (del Levante) e Valdez (Hercules Alicante). Un gradino in più, e troviamo già dei talenti difficili da descrivere senza sbiadire per l’incanto: 7 perle per Sergio Agüero e Gonzalo Higuain, entrambi argentini, entrambi accasati a Madrid, ma il primo è dell’Atletico e il secondo è alla corte di Mou.

8 volte hanno gridato i tifosi per le opere di Giuseppe Rossi e David Trezeguet: il primo sta a Villarreal, sabato ha perso dal Getafe e saluta definitivamente la coppia di testa; l’altro si sta levando qualche sassolino bianconero dalla scarpa e dimostra che non aveva ancora smesso di fare il proprio mestiere. Saliamo ancora un passo e troviamo un altro giallo di Villarreal, il Nilmar per cui tante voci di mercato si erano sprecate in casa nostra. Accanto a lui, c’è il primo blaugrana: David Villa, campione del mondo in Sudafrica e due sberle di queste nove le ha date al Real Madrid. La sorpresa, ma nemmeno tanto se siete avvezzi alle vicende della Liga, è Fernando Llorente; icona basca se ce n’è una, bandiera dell’Athletic Bilbao, segna 10 volte finora e pochi onorano come lui la maglia che indossano. A quota 11… no, un momento, c’è qualcosa che non va. Improvvisamente, tra il secondo e il primo posto, non ci basta sommare uno, ma dobbiamo mettere una scala a pioli: in cima, troviamo due ragazzi così diversi da sembrare una coppia da commedia. Lionel Messi e Cristiano Ronaldo vanno a braccetto con 17 gol segnati in 15 gare. Che è come dire che, se affronti Barça o Real, devi mettere in conto che loro segneranno almeno un gol. Sarà un caso se sono queste due a spaccare la classifica e giocare un campionato a parte, fatto apposta per i marziani?

Ancora una volta, Mou e Guardiola mandano in campo due eserciti che spargono il sale sugli avversari e portano a casa tre punti. Il Real passa 3-1 a Zaragoza, gli altri stampano un altro 5-0, questo in faccia alla Real Sociedad. Tutto come da copione e niente di nuovo sul fronte transpirenaico.

Anzi, a ben vedere, una cosetta c’è: la dirigenza del Barcellona ha siglato un nuovo accordo per lo sponsor sulle divise. Dice: e allora? Niente, se non fosse che i blaugrana hanno 111 anni di vita e non avevano mai affittato prima i loro pettorali. Solo da poche stagioni ospitavano il logo dell’Unicef e non solo non ricevevano un quattrino ma addirittura pagavano il privilegio 1,5 milioni di euro l’anno. Dalla prossima stagione, invece, questa roccaforte storica cadrà e, accanto al simbolo umanitario, comparirà quello della Qatar Foundation. Ente umanitario anche quest’ultimo, ma felice di sborsare 150 milioni di euro in 5 anni. Giocherai pure il calcio migliore del mondo, ma la crisi è la crisi…

chissenefrega dell'anti-milan

Per la serie: “Quesiti stucchevoli”, vi presentiamo la stagione 2010-2011 del fortunato sceneggiato “Chi è l’anti-x?”. Dopo le edizioni trionfali degli anni scorsi, quando vi abbiamo ripetutamente e instancabilmente chiesto “Chi è l’anti-Inter?”, quest’anno novità rutilanti e febbrile attesa per la vicenda completamente nuova che non potrà che sorprendervi con la sua originalità: “Chi è l’anti-Milan?”. Dite la verità, non ve l’aspettavate! Eravate già pronti a ingollare patatine fino a maggio sentendovi interrogare: “Benitez è come Mourinho?” o, se andava bene: “Ronaldinho, Pato, Ibra, Robinho, Van Basten, Rivera, Sivori e Michael Jordan possono giocare insieme?”.

Perdonatemi la polemica lavorativa del lunedì, ma non vedo come disquisire a dicembre su chi possa salvarci dal Milan, nemmeno fosse il diavolo, sia un argomento interessante al punto da essere praticamente l’unico trattato dai media, con dovizia di interviste a tema ai calciatori. Quelli rossoneri: “Il campionato è lungo, dobbiamo pensare a fare il maggior numero di punti”. Dài, credevo che essendo in testa ve ne spettassero un tot di diritto. Quelli delle inseguitrici: “Il campionato è lungo, il Milan fa una corsa a sé, noi dobbiamo fare la nostra e a maggio vedremo”. Alta televisione, vi dico!

A dirla proprio tutta, me la prendo così perché non è che la sedicesima di A ci abbia regalato poi molto di memorabile: con l’Inter al caldo di Abu Dhabi, e il pacioso Rafa sia in pericolo che tentato di non tornare proprio, sabato pomeriggio il Palermo sommergeva il Parma al Barbera. Gli esportatori di prosciutto crudo andavano in vantaggio, come spesso gli capita, poi il buio e 3-1. Contemporaneamente, la Fiorentina aveva capito, per stessa ammissione di Mihajlovic, che al Friuli si potesse fare a meno di giocare a pallone; d’altro avviso l’Udinese, che difendeva il campo con un 2-1 figlio di un missile che Armero sparava da casa sua (correte su youtube se ve lo siete perso). Il Napoli agganciava il secondo posto (sarà l’anti-Milan?) con una vittoria d’acciaio al Marassi sponda Genoa.

All’ora di pranzo, il Bologna chiariva per lo meno di non essere l’anti-Milan, a meno che quello della banda Malesani non sia un gigantesco bluff. Comunque, tre a niente per i rossoneri, come contro il Brescia e, non a caso, firme fotocopiate: Boateng, Robinho, Ibra. Allegri ha indubbiamente trovato il bandolo della matassa, tutto sta a capire se il meccanismo può incepparsi (sì, sto insinuando che il Milan sia l’anti-Milan!). Grossa rivoluzione in coda alla classifica, il Brescia batte in casa la Sampdoria (1-0) e il Lecce supera 3-2 il Chievo; fino a quota 20, mi sento di candidarle tutte alla lotta salvezza, anche se il Cagliari (3 gol di Nené al Catania) sembra di un’altra pasta. La Roma supera il Bari, il gol di Juan è in fuorigioco e, nel post-partita, quello nervoso è Ranieri invece del derubato Ventura. Caratteri.

Dulcis in fundo, le due anti-Milan si scontravano all’Olimpico di Torino. Signori, brutta partita se ce n’è mai stata una e mi rendo conto di attirarmi le antipatie bianconere; la Juve la vince all’ultimo respiro e, per quanto le frasi retoriche dopo il fischio finale mi facciano ronzare le orecchie, devo ammettere che questi risultati miracolosi indirizzano le stagioni. Succede che Reja, in emergenza, deve mettere un terzino destro, il povero Cavanda, a sinistra, su Milos Krasic. Succede che, a cinque secondi dallo scadere del recupero, gli ospiti sentivano già l’acqua calda della doccia sulla pelle e s’erano messi anzitempo un punto in tasca (Zarate aveva replicato a Chiellini, sul tabellino). Succede che la Venere di Milos si fa un’ultima galoppata con la palla e, dal gesso sul fondo, dà una scarpata con l’esterno, disperata ricerca di un estremo assist. Succede, infine, che Muslera non respinge ma preferisce schiacciare in porta come un martello pallavolistico. 2-1, Juve a meno sei con Lazio e Napoli, ma la sensazione di aver molto di più da dire di queste altre due. Anti-Milan? Fate un po’ voi…

coerenza italia; tutte seconde. ma almeno la roma c’è

Ciao ciao Champions League. Grazie di tutto, arrivederci a dopo il disgelo. Terminate le sei (doppie) giornate, i verdetti sono definitivi e inappellabili. Le ultime sfide non stravolgono le classifiche dei gironi, così allo spettatore impoltronito non gira la testa e allo scommettitore affamato non scoppia il cuore (ma continuerà a mordere lo stomaco).

Nel girone A, martedì sera, restava da definire una formalità tutto sommato decisiva: i campioni in carica, che smezzano l’affitto di San Siro, andavano a Brema per battere un Werder ormai fuori da tutto. In palio, nell’ordine: il primo posto del girone, la gara della fiducia prima del Mondiale per Club, l’autorità di Benitez e – non ultima – la faccia. Perso tutto. Tre a zero, segna pure quell’Arnautovic voluto fortemente e praticamente mai impiegato a suo tempo dall’Inter. Il primato in classifica era accessibile, perché il Tottenham si fermava 3-3 con il Twente, ma invece niente. Al Mondiale, dire soltanto che l’Inter ci arriva con le ruote sgonfie è davvero voler tenere bassi i toni. Benitez, poveraccio, viene reiteratamente esautorato dal suo presidente, resta seduto lì ma non sembra più quello del fatto. Quanto al perdere la faccia, era stato proprio Moratti a esorcizzare con forza altre “figure del cavolo”: esorcismo vagamente imperfetto e Massimo si sente “tradito” dalla sua Beneamata.

Il girone B, invece, la sorpresa l’aveva regalata alla quinta giornata, quando lo Schalke aveva oltrepassato il Lione. In questa volata con arrivo a Benfica, bravi i tedeschi a confermarsi e a chiudere il girone in testa, francesi secondi, Europa League ai rossi di Lisbona. Nel girone C, udite udite, il Bursaspor porta a casa un punto! Lo strappa ai Rangers di Glasgow (1-1), ormai sicuri dell’Europa League. Stesso punteggio tra le due promosse, prima il Manchester United e poi il Valencia. Il Barça, parliamo del gruppo D, se non stupisce non gode: per battere il Rubin Kazan vanno in campo sette ragazzini del vivaio, trattano tutti la palla come Don Giovanni le donne e hanno negli occhi le imprese dei titolari, ad ispirarli. Anni di soddisfazioni attendono i tifosi blaugrana. Si qualifica anche il sorprendente Copenhagen.

La Roma, grazie al bel gol di Marco Borriello – e nonostante il pareggio subito nel finale – trova il punto che le serviva, contro il Cluj, e passa il turno alle spalle del Bayern che, peraltro, aveva affossato gli inseguitori dei giallorossi, gli svizzeri di Basilea (3-0). A Marsiglia, perde ancora il Chelsea di Carletto Ancelotti. I Blues passano comunque come primi – proprio i francesi secondi – ma qualche incantesimo andrà inventato, dalle parti di Stamford Bridge, dopo aver perso male anche il primato in Premier. Passeggiando sui resti dell’Auxerre (4-0), nel girone G, i Bianchi di Mourinho sono i meglio classificati della Champions (16 punti su 18); per il Milan, basta la metà dei punti, ma l’ultima rappresentazione a San Siro non è tanto carina: lo 0-2 dall’Ajax, che si garantisce l’Europa League, è un viatico poco incoraggiante per il campionato, oltre che un’altra bocciatura per Ronaldinho, quasi irritante nei suoi novanta minuti. Se toccava offrire al pubblico infreddolito un simile spettacolo, tanto valeva imitare Guardiola e regalare un’emozione ai ragazzini della Primavera.

Per chiudere la carrellata, l’Arsenal non aveva ancora chiuso i conti, ma stende il Partizan di Belgrado (3-1) e via, per gli ottavi ci sono anche quelli di Wenger (però in testa c’è lo Shakhtar, 15 punti). Mentre spolveriamo le palle per l’albero di Natale, mettiamo in soffitta il pallone stellato della Champions; lo useremo di nuovo solo dal termine di febbraio e una lacrima, all’esteta calcionaro, gli scende. Ultima appendice: se volete sapere quale, tra le prime della classe, toccherà in sorte a Inter, Milan e Roma, venerdì a Nyon si tratterà anche lì di palle: conterranno i nomi delle future avversarie europee.

barça in carrozza, la nonna di mourinho e altri fatti da liga

Ci eravamo lasciati con una questioncina da poco, l’ultima volta che avevamo varcato i Pirenei per dare un’occhiata alle vicende ispaniche: il Barça di Guardiola aveva fatto la storia stampando un 5-0 in faccia ai Reali, e tanti saluti alla famiglia. Un modo niente male di prendersi la testa della classifica, ma poi c’è da mantenerla.

Se c’è qualcuno tra voi onorabili lettori, perlopiù milanese, che aveva pensato di approfittare del ponte dell’otto dicembre per farsi un giro in Spagna, costui sarà certamente al corrente che laggiù gli scioperi stanno tenendo a terra gli aerei. Sembrerà strano, ma questo è il genere di cose che può dar noia anche alla squadra migliore del mondo: atterrare a Pamplona sabato era impossibile, ecco perché i blaugrana avevano chiesto il rinvio del match con l’Osasuna. La lega in un primo momento acconsente, poi salta fuori che nessuno ha avvertito i padroni di casa, che si risentono un tantino e ci terrebbero a giocare cascasse il mondo.

E allora quelli di Guardiola si arrabattano, trolley al seguito, per inseguire il primo treno e farsela su binari. Scesi, per fortuna in orario, arrivano di corsa allo stadio, dimostrano il loro turbamento vincendo solo per tre a zero e, nemmeno il tempo di una pizza al taglio in stazione, c’è da saltare in carrozza per l’ultimo diretto della sera. Storie meravigliose. Intanto, a Madrid, tutti ancora con la faccia un po’ scura – salvo Mourinho che, parlando alla stampa, si autoappunta al petto fantomatiche medaglie e va citando sua nonna (non scherzo) – ma Cristiano Ronaldo non ha bisogno di essere allegro per farne due al Valencia, la stessa squadra che un mese fa si inebriava con l’aria rarefatta di lassù e adesso sdrucciola al quinto posto.

Tra le altre, sempre bene il Villarreal, terzo e in zona Champions, che viene a capo dell’insidioso Siviglia grazie al talento Nilmar. La seconda squadra di Barcellona, di cui tendenzialmente nessuno si accorge – nemmeno a Barcellona – è l’Espanyol e la sua risalita in classifica comincia a non sembrare più un caso. Tanto quanto non sembra casuale il rendimento scarso dell’Atletico Madrid, ben più blasonata squadra della capitale. I primi sono a quota 28, saldamente quarti, gli altri perdono male dal Levante e restano a 20 punti. Riassumendo: per la zona Champions, a parte le due compagini di marziani là in cima, ci sono Villarreal ed Espanyol, con i possibili rientri di Valencia e Real Sociedad. Le altre navigano con mare tranquillo, giù giù fino a Real Zaragoza (9 punti), Almeria e Sporting Gijon (entrambe a 10), le cui situazioni sembrano seriamente inguaiate.

inter, ferie anticipate

Questo lungo weekend, passato a rincorrere una palla inzaccherata tra i radi e congelati fili d’erba, scava una vistosa impronta nel fango, un lascito che ci permette di trarre alcune considerazioni sulla classifica di Serie A, in chiave scudetto. Lo facciamo anche approfittando dell’ultima giornata in cui i campioni in carica dell’Inter avranno giocato lo stesso numero di partite delle rivali: i Benitez-Boys sono in partenza per Dubai che, oltre ad essere un discreto paradiso dorato – specie se confrontato con la Milano d’inverno –, ospiterà il Mondiale per Club; salteranno un incontro che non sarà recuperato prima della fine di gennaio.

Per la verità, qualcuno deve aver spiegato male la sistemazione del calendario ai nerazzurri che venerdì sera erano ospiti della Lazio ma non per una cordiale cena di buon auspicio: il marziale volo di Olimpia avrebbe dovuto metterli sull’attenti, invece Sneijder e soci non si svegliavano nemmeno quando presi a schiaffoni da Maurito Zarate – mezza follia, peraltro, farlo marcare dall’esordiente Felice Natalino, onomastica conferma che Benitez aveva capito si venisse a Roma per scambiarsi gli auguri. 3-1 e primato per gli aquilotti ormai cresciuti: le loro ambizioni sono da titolo e, soprattutto se Lotito a gennaio sospenderà le versioni di latino per scendere al mercato, credo lo dimostreranno fino a primavera inoltrata.

Il Milan, agganciato in quota elevata, entrava col muso cattivo nel salone da ballo di San Siro, dove il Brescia candidato alla B si era presentato con quel po’ di anticipo tipicamente reverenziale. Rientrato Pirlo – ex di lusso della gara – Allegri ha dimostrato che la squadra adesso è davvero ai suoi ordini e, accanto all’immalinconito Dinho, s’è accomodato pure Seedorf. Dentro Boateng, una montagna di muscoli che ci mette tre minuti a segnare, su regalo di un altro non piccolissimo, Ibrahimovic. Il secondo scambio di doni lo inaugura la difesa del Brescia, Robinho in cambio offre il 2-0. A Ibra i regali non servono, prende la biglia e la scaraventa dentro con un’autorità imbarazzante (e dolorosa per la porta). 3-0 in mezz’ora, di nuovo più 3 sulla Lazio, ma soprattutto dieci alti gradini da Inter e Roma (con l’intrusione della Samp che vince sul Bari). La macchina gira e gira senza intoppi, del resto i punti che i rossoneri faranno da qui alla riapertura primaverile della Champions League saranno tremendamente decisivi. A confermarlo sono il risultato di domenica sera e la classifica che ne scaturisce: la Juventus passa di forza a Catania e si mantiene in linea di galleggiamento a meno 6.

I bianconeri si sono sbarazzati, senza troppa dignità ma anche senza patemi reali, dell’impegno di Europa League che era diventato una zanzara molesta. Adesso la Signora ha il vantaggio che dall’inizio hanno i laziali, giocheranno soltanto le partite di campionato e godranno della fatica e dello stress che il palcoscenico europeo farà pagare alle altre. Siamo quasi certi che la Juventus non fallirà almeno le prime tre posizioni ma, se proprio occorre puntare un euro sullo champagne di maggio, io non mi stupirei di sentire saltare sugheri dalle parti di Torino.

La Roma, al contrario, appare francamente troppo discontinua per riuscire a ricucire completamente lo strappo di inizio stagione, opinione non figlia, peraltro, dell’esperienza di Verona col Chievo. Su un terreno che non ha nulla a che fare col pallone, a Roma si torna non soltanto con un punto ma anche con un bel cesto di patate novelle. La bellezza di tutti questi verdetti – bellezza per me, s’intende, che posso già mettere le mani avanti e smarcarmi – è la loro totale e quasi certa potenzialità di essere completamente smentiti, del resto i campionati si festeggiano col sole caldo e, potrei sbagliarmi, ma la mia finestra mi suggerisce che è presto.

la manita!!!

Dice Mourinho, se perdi nettamente e senza appello, è facile da commentare e ancor più da digerire. Lo spiegasse a Sergio Ramos e compagnia calciante. Il Digestivo Catalani è un amaro calice per i Blancos che, dopo novanta minuti in cui dire che non l’hanno vista mai è un gigantesco eufemismo, hanno bisogno di prendere a pedate qualcosa, meglio, qualcuno. Nella fattispecie, quei folletti in maglia blaugrana che da questa notte, da questo Clásico, escono consacrati ad eroi immortali per i centomila accorsi al Camp Nou e per tutti noi televisionari che, sgranando gli occhi, abbiamo controllato più volte che non stessimo vedendo un match alla Playstation.

Pep Guardiola, il catalano zen, aveva sorvolato per l’ennesima volta sulle lame affilate infilategli sotto i piedi dal linguacciuto Mou e le polemiche pre-partita del portoghese, al solito sobrio e modesto (aveva ringraziato Dio di non essere nato umile, credo che ora Guardiola stia ringraziando le sue divinità predilette per non averlo fatto nascere Mourinho) erano rimaste sterili. Come si dice in questi casi, versando abbondantemente dall’oliera della retorica, Pep ha preferito rispondere sul campo. E dal primo all’ultimo minuto i suoi ragazzi – quasi tutti cresciuti con questa maglia e quasi tutti campioni del mondo – hanno scherzato quelli in bianco, hanno nascosto la palla imponendole evoluzioni impossibili da esprimere a parole, hanno fatto chinare Casillas cinque volte per raccogliere il contenuto della rete. Un’umiliazione, per il Real mai battuto quest’anno, che sono i madrileni stessi a controfirmare, finendo con una caccia all’uomo violenta.

Per quel che vale, il sottoscritto mai aveva visto nulla del genere e – a riprova del fatto che la sua incompetenza è notevole – si ascriveva anch’egli al club di chi si aspettava un Real favorito dalle motivazioni, dopo aver perso quattro volte di fila dal Barça. E invece. Invece i blaugrana non hanno limiti, tessono trame ineffabili e sono una delizia per lo sguardo, che si sforza di trattenere il più possibile di ciò che vede per rendere il sogno immortale. Per fortuna, però, non è un sogno. Barcellona-Real Madrid 5-0 è una realtà transeunte ma che si fa opera indimenticabile, sotto gli scalpelli delicati e spietati di Xavi, Pedrito, David Villa e del giovanissimo Jeffren, a loro volta magistralmente diretti da Iniesta e coronati dal miracolo Messi.
Se non avete assistito a questo supremo manifestarsi dell’essenza pallonara primordiale, non saranno queste righe o altre a ripagarvi e fareste bene a maledire qualunque altro impegno vi abbia proibito l’evento. Barça-Real doveva essere il massimo, i secondi contro i primi, Messi contro Ronaldo, Guardiola contro Mourinho: se qualcosa abbiamo da concludere, è che ora non esiste squadra al mondo che possa impedire ai catalani, qualora lo decidessero e giocassero al meglio, di sommergerla. E il loro primato nella Liga, adesso, sembra solo la logica conseguenza dello spettacolo mirabolante che ci hanno regalato e che con la logica, grazie al cielo, ha poco a che fare.

il freddo congela la classifica, ma all'inter hanno la stufetta

Probabilmente voialtri, nobili affezionati, già ve n’eravate accorti: l’inverno è arrivato, ha bussato con un mesetto di anticipo sul calendario (solare) e ha cominciato subito a creare guai al calendario (della Serie A). Personalmente, ho trovato l’inchiostro congelato nel calamaio, così ho dovuto rassegnarmi a scrivervi con le nuove tecnologie, ma battere sui tasti è arduo e passo più tempo a fregarmi le mani per non farle intirizzire. L’ho imparato vedendolo fare praticamente a chiunque, sui campi dell’ultima giornata.

Il weekend iniziava col botto, la capolista campeggiava al Marassi di Genova. Ma non sapeva farne terra da saccheggio, complice l’opposizione – un po’ tenera, ma efficace – dei pretoriani in maglia blucerchiata. Robinho, riscopertosi animaletto concreto e non solo foca ammaestrata, faceva il diavolo a quattro e – nel giorno in cui Ibra si sentiva più dispensatore di regali che realizzatore – segnava pure un bel gol proprio dialogando con lo stregone svedese. Come sta accadendo spesso, però, Allegri non è solo il tecnico rossonero, ma pure aggettivo adatto ai suoi ragazzi, quando stanno in vantaggio: gigioneggianti, non chiudono le partite e concedono in difesa. Ne approfitta un certo Pazzini e fa pari e patta – ne hai un bell’agio a montare un assedio finale, ormai è tardi per tornare a Milano con tre punti. La sera, invece, la Vecchia Signora apriva le porte della sua villa torinese, per ospitare gli odiati fiorentini. Partita che supera ampiamente il limite del brutto, la decidono l’autorete di Motta e il pareggio, a sette minuti dal termine, di Pepe: niente di memorabile, se non che, sulla punizione dell’ex udinese, uno juventino pensava bene di posare una mano sulle parti nobili del portiere viola Boruc che, preso alla sprovvista, saltava male e lasciava che la sfera si infilasse.

Domenica molti italiani andavano in gita sotto la neve, per esempio a Bologna la sfida con il Chievo è saltata e tra Brescia e Genoa sono stati novanta minuti di tonnara e scivoloni, nessun gol e ben poco a che vedere con lo sport di cui indegnamente stiamo parlando. Mentre ci stavamo sedendo per pranzare con i parenti, l’Inter maturava un 5-2 casalingo contro il Parma. Partita strana dal risultato bugiardo, stando che gli ospiti andavano in vantaggio, subivano due gol sfortunati, centravano due legni e avevano ben il diritto di imprecare e scoraggiarsi. I nerazzurri, però, sono bravi e intensi in un periodo non facile, mettono in fienile tre punti preziosi e la festa è condita dalla tripletta di Stankovic. Abbiamo la sensazione che la Benitez band sia stata l’unica, tra le belle del campionato, ad accorgersi che la prima della classe aveva frenato. Oltre alla Juve, infatti, pareggia pure la Lazio, mentre Napoli e Roma escono addirittura sconfitte e mazziate, rispettivamente dal Friuli di Udine e dalla nottata di Palermo.

Per i secondi in classifica, contro il Catania, non basta il volo di Olimpia e tantomeno il gran gol da lontano del profeta Hernanes. Il Napoli avrà gli incubi a strisce bianche e nere, a furia di rincorrere inutilmente quelli di Guidolin e, più di tutti, Di Natale – ancora una tripletta in carriera e il secondo gol fa urlare ogni volta che lo si rivede. Per la Roma c’è da fare i conti con lo sforzo della rimonta sul Bayern e sono conti pesanti: l’oste, al ristorante Barbera di Palermo, è Fabrizio Miccoli – suo l’uno a zero – e il tabellone marca, al ventesimo della ripresa, un impietoso 3-0 per i rosanero. Totti ci mette solo un’inutile pezza nel finale. Oltre al pareggio tra le disperate Cesena e Bari, infine, vorrei regalare un meritato spazio a un ragazzino che – come il citato Pazzini – non dà mai l’impressione di essere lì per caso, quando c’è da mettere in porta una palla: Matri, nella vittoria del Cagliari sul Lecce (3-2), infila altre due perle nella personale collana (già 8 reti quest’anno) e fa intendere perché in Via Turati vorrebbero portarlo a Milanello già a gennaio.