mercoledì 14 settembre 2011

torna la coppa orecchiuta, torniamo noi!

La Champions! Se conoscete un modo migliore per riappacificarvi con il pallone che vi strattona giù dalla sdraio, tornando a pretendere la poppata stagionale, vi pregherei di tenervelo comunque per voi.

La Coppa dei Campioni è un'altra cosa. Cos'è che lega un'appiccicosa serata nella provincia padana a una noche brava sulle Ramblas catalane? È il mercoledì martedì di Coppa, signora mia, ha letto il menu? Barça - Milan: trionfo di fenomeni in salsa tiqui-taca, su un letto di verdura Camp Nou. Il miglior piatto d'entrata di Chef Platini, siamo Chez Uefa, mica bruscoli.

«Chi si imbranda la figlia del Boss? Schiappe!»
Nemmeno il tempo per Nocerino di sbiancare di fronte alla platea dei Culès e alla vista di Xavi e Iniesta, che un tipetto che da papero si è trasformato in falco, con tanto di sguardo arrogante e petto gonfio, si teletrasporta in compagnia della biglia davanti a Valdes. Mentre questi e Busquets si chiedono spaesati dove siano rimasti quei trenta metri che Pato sembra non aver dovuto correre, il giovanotto che ha deciso, per non complicarsela, di farsela con il capo (del club) che è pure la figlia del Capo (del Paese), la soffia dentro e bòn, bimbi belli, il Milan è avanti a Barcellona.

Ora, tutte le fiumane di verbo e inchiostro delle settimane, che dico, dei mesi precedenti, su quanto il Barça sia la squadra più forte di sempre, sul progetto perfetto venuto da così lontano che Messi e compagnia cantante erano bimbi, sulla squadra imbattibile – concetto che prevede già l'intrigante caccia a chi sappia smentirlo –, potevano asciugarsi in quei 24 secondi serviti a una maglia bianca per fare uno? Dubitiamo. Più di noi, dubitano gli undici dipinti di blaugrana. E comincia la loro recita.

Passaggi, tocchi, ancora passaggi. E se vi sembra che la cosa sia pesante e viziata, perdonatemi, non sono qui per convincervi, ma restiamo due bestie diverse. Quella trama diventa ridondante senza mai perdere di leggerezza, di estasi, di tendenza all'altrove. E noi poveri mortali, che di questa cosa che chiamiamo Pallone per semplificarla cominciamo a pensare di non averci mai capito un'acca, non possiamo che ripetere, tipo mantra: «Non sbagliano una volta». E non sbagliano. Anzi, alzano il livello del gesto, come per dimostrarti che non conoscono il significato di difficile, lasciamo perdere quello di rischioso. Il Milan? Corre, lingua per terra, mangia la polvere, prima ci prova timidamente, poi recede da ogni belligeranza. In una parola: fatica.

Il primo tempo, se hai segnato dopo una manciata di istanti, sembra non dover finire mai. Deve aver pensato questo il povero Abate quando, sulla corda da una buona mezz'ora, non ha avuto la prontezza di spingere in corner il cuoio nell'unico tiepido attimo in cui la Pulce, indaffarata in uno Slalom Speciale tra Nesta e Van Bommel, gliel'avrebbe concesso. Impietoso, trascorso quel lampo di tempo, Lionello è riapparso in scena e ha recapitato uno "spingimi dentro" troppo erotico perché Pedrito si tirasse indietro. Pari all'intervallo.

Villa: la punizione. In ginocchio sui ceci.
Si ricomincia, tutto come prima, com'è come non è, fallo al limite, Villa riesce là dove Messi aveva solo scheggiato il palo. La palla si fionda nel sacco direttamente, fate 2-1 per i casalinghi. E il Milan, seppur sotto, continua a remare. Il Barça, seppur avanti, non arretra di un metro. Anzi, per la verità... ora che il terzo grido non si leva e manca solo un quarto d'ora, i ritmi pazzeschi, dionisiaci, furiosi del palleggio dei Guardiola's vanno un po' scemando. È una differenza impercettibile, sia chiaro, e non sufficiente perché agli altri sia consentito smontare le barricate e controffendere, ma tant'è.

Nella dimostrazione di superiorità del calcio blaugrana su quello italico e non, sono gli stessi dèi che rifiutano il castigliano a sfoggiare qualche striatura, che sembra già un'eresia chiamare difetto, sulla superficie della loro filosofia perfetta. La traccia simbolica di tale ineffabilità deve averla lasciata proprio Messi – quello del palo e dell'assist – a forza di picchiare sul prato: un'orma violenta, figlia della frustrazione per aver concesso a Nesta un recupero prodigioso dopo essersi procurato un'occasione che per Messi – e solo per lui – era un gol fatto. E così, anche per le divinità le regole universali del cosmo pallonaro sembrano valere, almeno in fugaci e intermittenti tratti: linee di forza che sfuggono al loro controllo per insegnare anche alla loro insolenza che, se non chiudi le partite, facile facile non le vinci nemmeno; linee che si concretizzano in un corner al novantaduesimo, nella schiena inarcata e superbamente immune alla gravità di Thiago, nella rete che si gonfia.

«Sono atterrato!!! Mi mancava l'aria...»
Due a testa. Sorpresa? Fortuna? Ingiustizia? Quello che vi pare, o fedeli, ad alcuni piace chiamarlo solo calcio, a me: Coppa dei Campioni. Conoscete un modo migliore per riappacificarvi con il pallone?

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