Sarò io, ma ben mi ricordo quando, ogniqualvolta si osava immaginare una Débâcle ignominiosa e fantozziana, l'Inter andava anche oltre le aspettative appollaiate e consegnava i suoi tifosi al ludibrio milanista/juventino. Ma poi era venuta Calciopoli, poi gli Onesti, poi la Champions... tutto alle spalle. O no? Perché, davvero davvero, permettere al giornalista, che non credeva lecito sperare in tanta grazia, di titolare «L'Inter perde la Trebisonda» è cosetta che lascia senza fiato, per quanto assomiglia a una sceneggiatura tragicomica: tutto il resto – la Disputatio Gasperinis, la Roma che si farà il prossimo weekend a Milano, le tre sconfitte su tre uscite stagionali – passa in magari fosse secondo, magari fosse terzo, direi che passa all'attico.
Trebisonda! Ecco dov'era! |
Rasoterra, come quello che uccella Giulio Cesare il portinaio, sta lo sberleffo stesso: la Trebisonda, ce la porteremo dietro per anni, mi sa tanto che ancora non ci siamo resi conto del regalo che l'Internazionale ha fatto ieri notte alla letteratura pallonara, grande almeno quanto l'incredulità negli sguardi dei turchi al fischio finale. Dice: ma abbiamo vinto veramente? Noi, gli ambasciatori della Trebisonda, titolo che più clownesco non c'è riuscito di assumerci? A San Siro? Sissignori, l'Inter è ancora è sempre quella: «Amalaaa!».
C'è pure il Napoli, non ce lo dimentichiamo! Ma adesso, qui adiacente alla pubblica indignazione altrui, si rischia di non tributargli l'onore che merita. E poi, mica c'è bisogno di spiegarlo quanto sia da applausi, ora come ora, un punto al City of Manchester; non servono certo le parole per ammirare El Matador Cavani. Solo una cosa, la voglio dire: se Lavezzi avesse realizzato con quella meraviglia celeste, nel primo tempo, il sistema della sanità partenopeo avrebbe registrato un'impennata allarmante nei casi di infarto. Bene così, va'.
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