E adesso ci siamo. Questa primavera che è arrivata di corsa, con incedere più lento solo della marcia di Raul nella classifica dei goleatori di Champions, sta già volando via scaldando gli ambienti.
E l'ambiente più caldo del mondo, laddove si butti una sfera a rotolare su un prato, si respira in quella fetta di terra, larga qualcosa come seicento chilometri, che divide Barcellona da Madrid. Seicento chilometri che si riassumevano in otto punti, fino a ieri sera.
E ancora in quegli stessi otto punti, al termine del duello de Santiago Bernabeu, stanno rinchiusi i due sentimenti più eminenti del popolo spagnolo, dei popoli che lo compongono: Castiglia e Catalunya, Castellano e Català (gli idiomi), El Madrid y El Barça. Quanto stiano vibrando gli animi maturati fin dall'infanzia, generazione dopo generazione, intorno allo spartirsi tra regno madrileno e regno catalano, è difficile immaginarlo se non si vive quella frequenza emozionale sulla propria pelle, convivendola nella propria carne.
Ma che il destino abbia deciso di mettere di fronte due dei simboli più vigorosi dell'odio reciproco, le rappresentanze pallonare, proprio in questo momento è un evento vero, pieno, incalcolabile.
Il campionato della Liga – che è quasi sempre un affare tra le due –, la Copa del Rey – e che si giochino la finale forse non stupisce poi molto – e infine, proprio nell'istante in cui Barça e Real incarnano probabilmente le due armate più stupefacenti del pianeta, il turno di semifinale di Coppa Campioni.
Ieri notte tutti – almeno quelli che capiscono cosa sia il pallone e non si siano ostinati a credere che assistere alle milanesi fino al termine valesse qualcosa – si sono assembrati intorno alla Casa Blanca proprio perché i blaugrana attraversavano, per la prima volta in stagione, quei seicento di cui sopra e venivano a proteggere la loro dominazione sul trofeo nazionale. I punti di distacco e la sicurezza con cui costoro egemonizzano la classifica avrebbe potuto attirare poche sensazioni intorno all'appuntamento, ma se credete davvero questo state dimenticando qualcosa.
Intanto, l'odio biunivoco del quale si è già detto ma non si può mai dire abbastanza; metteteci anche la manita dell'andata, il 5-0 del Camp Nou che non si potrà dimenticare per anni; a cesellare quel ricordo c'era il fatto che Guardiola, in cinque clasicos, aveva sempre vinto; sull'altra panca, poi, c'era uno modesto e contenuto nell'ego quale José Mourinho; infine – piccolezza per chiudere – Barça-Real è anche Messi-Cristiano Ronaldo, due eroi inarrivabili a livello mondiale ed entrambi al vertice della classifica cannonieri. Insomma, 'na cosetta. Guardatevi pure Milan-Samp.
Il primo duello della quaterna divina ha visto un grande Barça, nient'affatto impaurito dalla voglia di rimonta sanguinolenta dei rivali, ma anche un Real dall'istinto letale. Entrambe potevano vincere e, forse, il pareggio è l'esito più logico, anche se lascia attrarre in tentazioni di delusione. Ovviamente sta meglio così ai Guardiola's, che scongiurano una clamorosa rimonta che sarebbe stata più affine a un suicidio.
Questo senso di incompiuto, un match chiuso uno a uno con due rigori trasformati da quegli eroi spettacolosi di Leo e CR7, alza però l'asticella per il doppio confronto di Coppa con le Orecchie. L'esplosione della carica sentimentale arriverà allora.
Intanto, direi che possiamo registrare l'ennesima Liga trionfale per la capitale catalana e, quindi, prevedere almeno una festa sulle Ramblas.
[qui sotto le occasioni migliori del Clasìco di ieri, a posto, buonanotte]
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