giovedì 3 marzo 2011

la natura del gol

questo pezzo lo trovate anche su La Civetta di marzo...

È il 9 marzo 1997. Un ragazzino manda intorno i suoi occhi piccoli e acuti e si sta chiedendo come festeggerà il suo sedicesimo compleanno, proprio domani. Poi sorride, mentre le note dell’inno nazionale riempiono l’aria e lui, guardando proprio lì accanto a sé, vede una fila di uomini in maglia verde, schierati su un prato verde anch’esso. Quando l’arbitro fischia e la folla fa sentire le sue grida entusiaste, quando la sfera di cuoio tocca per la prima volta il suo piede destro, Samuel Fils Eto’o capisce che miglior regalo di un esordio in nazionale non avrebbe potuto immaginarlo.

Samuel Eto’o è un attaccante semplicemente perfetto. Elencare le sue qualità è un esercizio che non può non scadere nella banalità e, per di più, rischia seriamente di non terminare mai. Quello che trascende il potere delle parole, nel centravanti interista, è la naturalità ferina con cui si rapporta al senso del gioco: per Eto’o la questione, in linea di massima piuttosto centrale nel calcio, del mettere la palla nella porta degli altri è una faccenda affine, quanto a normalità, all’usare le gambe per camminare. Diciamo che per Eto’o, il gol, semplicemente si fa.
Quel ragazzino di quasi sedici anni di strada ne ha fatta parecchia, e sempre con il passo del leone alla caccia. Quando lo vedi muoversi sull’erba hai la sensazione che, non importa quando e non avrai il tempo di capire come, la palla subirà un’attrazione irresistibile verso i suoi piedi e ne verrà accompagnata a velocità vorticosa fino in fondo al sacco. La corsa di Samuel non sembra aver a che fare con la fatica, non c’è attrito che la freni, così te lo trovi a destra ma anche a sinistra, che corre lungo e che viene incontro, mentre stacca di testa o dribbla in doppio passo. Fu un difensore non esattamente da poco quale Alessandro Nesta a raccontare, in tempi in cui la maglia numero 9 sulle spalle di Eto’o era azul-grana, quanto marcarlo sia un’impresa da emicrania e capogiri.

Parlare di numeri non è attitudine particolarmente graziosa, ma la media gol di Eto’o, sia negli anni del Barça sia da quando è all’Inter, è qualcosa di pazzesco. A mio avviso, però, sono altre le nozioni che ne fanno un vincente se ce n’è uno: Eto’o ha segnato una rete in entrambe le finali di Champions vinte a Barcellona. Ripudiato sciaguratamente da Guardiola, in cambio di Ibra e dopo aver propiziato il triplete catalano, è sbarcato a Milano e ha posato parecchie pietre per costruire la sua seconda stagione perfetta consecutiva. Ora come ora, se l’Inter è ancora in corsa su tutti i fronti e progetta una rimonta sul Milan, è solo grazie alle misteriose realizzazioni del suo nove.

Che Eto’o possa smettere di fare gol sembra improbabile quanto che domani la nostra stella preferita e più preziosa decida di non far capolino da oriente. Non c’è ombra di invecchiamento, non sembra esserci futuro che minacci il Re Leone e gli impedisca di essere lui stesso una minaccia per i malcapitati reparti difensivi che si troveranno a rincorrerlo. Senza capire che Eto’o non si sente inseguito, il predatore è lui e non si ferma finché i suoi artigli non graffiano il suo nome sul tabellino.

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