martedì 22 febbraio 2011

scene, scenari ma soprattutto scenette


Come già ho avuto modo di anticipare, non è che mi colpisca molto il fatto che in queste ore i riflettori siano puntati sulla Nazionale. In realtà alcune vicende da commedia peninsulare non mancano di allietare il povero cronista che – lasciatemi fare lo Jannacci – scrive dentro nei giornali perché c’ha i figli da mantenere e deve seguire gli Azzurri nonostante gli farebbe più comodo una bella giornata di campionato, con polemiche da pescare a strascico per arrivare in edicola almeno fino a martedì, ché poi c’è la Champions e via andare.

In ordine sparso, scene che neanche Monicelli:
in primis, il fiero condottiero nordico Brian Kerr non ci sta a farsi trattare come il figlio della serva del girone di qualificazioni, e sbotta, più o meno: “Non è che siccome veniamo dalle Isole delle Pecore dovete farci allenare su dei pascoli, l’orto di casa mia era meglio delle zolle che la federazione italiana ci ha propinato”. E tutti i media giù ad indignarsi e a ironizzare. Alcuni addirittura dicono che è pretattica. Figuriamoci se può essere soltanto che la federazione ha trattato questi come facevano le sorellastre con Cenerentola o, peggio, che questo è il livello di qualità che siamo in grado di offrire agli ospiti. Non scherziamo, siamo i Campioni del Mondo – oddìo no, ma abbiamo appena smesso – chi sono questi per venir qui e non sentirsi anche onorati di stare a casa nostra? Dissolvenza.

Intanto a Topolinia, pardon, al ritiro fiorentino, Antonio da Bari si è reso conto di essere un campione. Almeno, questa è la storia che racconteranno gli omini che riempiono la sala stampa, dopo il suo show: “Finalmente Cassano si riprende la Nazionale, campione dentro e fuori dal campo”. Si sbava per questo tipo di pasto mediatico. Ungi il mito dell’eroe maledetto che finalmente si redime con un po’ di salsa alla retorica, abbonda con l’inchiostro e amen, anche oggi siamo in pagina. Cassano, per parte sua, è un folletto geniale. Prima segna di testa e inguaia coordinatori Rai che si perdono l’evento – se mi raccontasse che, certo, lo sapeva che stava passando un minispot mentre lui incapocciava, sarei pronto a credergli –. Poi dimostra di aver capito due cose per cui, spero, mi farà divertire in futuro: da una parte, se incarni una promessa mai abbastanza mantenuta ma che, proprio per questa immutabile sospensione del proprio atto, è sempre una potenza, tutti pendono dalle tue labbra e puoi dire davvero quello che ti pare; dall’altra, certo nessuno ti farà mai notare che non potevi dire quella tal cosa, ma le interpretazioni di essa saranno stravolte a fini spettacolari in modo direttamente proporzionale alla potenza di cui sopra. E quindi invita nostalgicamente Totti a riprendersi il 10 azzurro accanto a lui, e sta già spiegando – cattedratico di Scienze della Comunicazione – che possono pure evitarsi di andare a stressare Prandelli, non gli sta chiedendo di chiamare il Pupone strappandolo alla Internet Box.

Motore, azione. Stop! Chiamatemi gli scenografi. Quella gigantografia orrenda cos’è? Ah, i tifosi. Ok, tutto a posto. Il presidente della Triestina – Fantinel – ha avuto questa pensata, stanco di vedere gli spalti desolatamente vuoti allo stadio e pensando proprio ad offrire lo spettacolo migliore ai suoi tifosi. A casa, davanti a Sky. Il calcio è uno spettacolo fruito da uno schermo, magari a distanza di tempo, un tempo che diventa virtuale. Noi saltiamo sulla sedia esultando oppure insultiamo il cialtrone che scarpa un cross stando a centinaia di chilometri di distanza dall’evento, trasmesso attraverso satelliti, di nuovo: virtualmente. Ma, come dice Fantinel, “che tristezza vedere in tivù gli spalti vuoti”, ci occorrono le folle in estasi e, necessariamente, hanno da essere virtuali (con tanto di sonoro, al più presto). Tutti i giornali si divertono a chiedere cosa ne penserebbe il Paròn Rocco, cui è intitolato lo stadio adorno di tifosi immortalati. Io pagherei per sentire cosa ne direbbe Jean Baudrillard.

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