martedì 22 febbraio 2011

champions!

La Champions League è come un fascio di luce che viene periodicamente ad illuminare le notti di noi malati di fútbol, ricordandoci che, sul tortuoso cammino per la beatitudine, non solo di noie domenicali e autolesionismi catenacciari occorre alimentarsi. A portarci conforto, durante una stagione in cui sembra che i pedatori delle squadre italiane corrano in slow motion, arrivano certi martedì e mercoledì: basta sentire da lontano quella musichetta, che il tifoso prende a sbavare, tipo cane di Pavlov, e lo si vede attratto con aria da zombie dal suo particolare e gustoso cervello, lo schermo in 16:9.

Beh, martedì 23 novembre noi morti viventi ci siamo divertiti, serata raffinata dai gusti variegati e pure due belle vittorie che riscattano l’operato claudicante messo a referto fin qui da Roma e Milan. Si partiva col girone F, a Mosca si giocavano gli ottavi Spartak e Olympique Marsiglia; ci pensava Valbuena a levare la ragnatela dall’incrocio dei pali ed aprire il varco per il 3-0 corsaro. Francesi qualificati, come il Chelsea già primo che, però, aveva perso tre delle ultime quattro in Premier e doveva allestire un assedio pure per rimontare l’ultimissimo ma presuntuoso Zilina, che era in vantaggio a Stamford Bridge. Nel girone H il Partizan Belgrado marca zero punti, questi tre glieli ha strappati in casa lo Shakhtar Donetsk (3-0), salendo brillantemente a dodici. Ma la sorpresa è che, contemporaneamente, a Braga si consumava l’insospettabile e rumoroso tonfo dell’Arsenal, sconfitto 2-0 dai casalinghi e svegliatosi dalla botta a quota 9 in classifica, agganciato in seconda piazza dai portoghesi. Si vedono già i titoli di testa per i patemi dell’ultima serata. Nel girone G, invece, tutto si è risolto e nel modo più logico: Real Madrid primo (14 punti), abbattute le quattro mura dell’Amsterdam Arena con una rete per ciascuna, e Milan secondo (8 punti), i rossoneri blindano la qualificazione a Auxerre.

I Mourinhani continuano a dare l’impressione di muoversi con i pattini, tanto sono veloci, e la loro brillantezza stravolge i Lancieri dell’Ajax, che sognavano di giocarsi tutto a S. Siro e invece dovranno pensare a salvare il terzo posto per l’Europa League. Reti di Benzema, Arbeloa e, sorpresa sorpresa, Cristiano Ronaldo (ne fa due e fa anche un po’ paura per la soave facilità con cui domina il gioco).

In Francia, quelli di Allegri – che nelle ultime settimane si sono scoperti primi in patria – trotterellano per tutto il primo tempo e per un tot nel secondo, alimentando sovente lo sbadiglio. Poi Ibra innesca un’azione con un colpo di tacco, si ritrova la sfera rotolante di fronte a seguito di vicende da flipper, e la prende a calci con una tale violenza che quella si trova scaraventata in volo a spaccare la porta. Uno a zero. Ronaldinho sorride estasiato dalla panchina e, quando salta fuori che c’è spazio anche per lui sull’erba, mette in scena per tutti la semplicità dell’impossibile: dal vertice destro dell’area, un avversario di fronte, il mondo non fa in tempo a chiedersi se lo salterà che lui, con l’aria innocente di chi fa queste cose dormendo, ha già fatto girare la palla di sinistro nell’angolo lontano. Buon per il Diavolo.

Ci siamo serbati il piatto forte per il finale: la Roma, a quota 6, ospitava il già promosso Bayern Monaco; intanto, a Basilea, gli svizzeri diventavano ufficialmente la rivale qualificazione, battendo il Cluj e salendo pure a 6 punti. E, per tutto l’intervallo, siamo stati rassegnati a questa parità in classifica da spezzare solo all’ultimo turno, perché Mario Gomez frustava la difesa giallorossa e ne faceva due. Lupacchiotti in bambola. Ma pur sempre lupacchiotti, ed ecco che bastavano quattro minuti nella ripresa al solito Borriello per far gridare l’Olimpico. L’estasi, tuttavia, si è fatta attendere fino all’ottantesimo: in un crescendo rossiniano, prima Capitan Futuro De Rossi chiudeva un’azione magnifica, poi addirittura il mitologico Francesco Totti faceva tre dal dischetto (fallo sul decisivo Borriello). Si sprecano gli aggettivi omerici per la Roma, cui ora basta un punto.

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