E in un attimo succede di tutto. Tutto quello che sei stato portato a credere per settimane si incrina e hai i tuoi bei problemi a fare i conti con il nuovo orizzonte. Questo campionato ci aveva abituato al tedio fin da settembre, perfino nelle domeniche più decisive aleggiavano delle spire scure e intorpidenti e – come? – proprio ora che Mademoiselle Primavera svela le coltri e solleva gli sbadigli mattutini mi alzate i bpm della Serie A? C'ho il cuore debole, io.
El Matador e il toro |
A onor del vero, il primo colpevole di attentato cardiologico era stato il redattore del calendario del weekend: si incontravano Milan e Inter, Napoli e Lazio, Juventus e Roma, Catania e Palermo. Un po' pochino? Chiedetelo a chi stava al San Paolo ieri, con lo stomaco in rivolta prima per la fame e, poi, per lo sconquasso inscenato sul prato. Ci vorrebbe un quotidiano intero solo per il secondo tempo di Napoli contro Lazio, terza contro quinta, Cavani e Lavezzi contro Zarate e Mauri, Mazzarri – il nuovo condottiero – contro Reja – il vecchio eroe della rinascita partenopea. Ora, mi chiedono se ciò che ci ha mostrato il palco che per sempre sarà maradoniano può significare una bomba steroidea di convinzioni che facciano trottare l'Asinello verso lo Scudo. Difficile, davvero, da dire.
Io so per certo che se vi siete persi la gara dell'ora di pranzo siete degli sciagurati e solo Youtube può parzialmente redimere le vostre anime; ma, soprattutto, giurerei che De Laurentiis – col viso fanciullescamente tripudiante di fine partita – stia setacciando mari e terre, un sacco pieno di banconote in spalla, per scovare lo sceneggiatore che ha ideato un siffatto thriller.
Ammetto che, quando il difensore fatto di pietra e Brasile Dìas aveva doppiato il gol di Mauri, la mia palpebra si stava già rassegnando all'abbiocco post-prandiale, presuntuosa che nulla ci fosse più da vedere. E invece, toh, parte un calcio di punizione di quelli un po' così e Dossena è proprio là, dove impattano una sfera di cuoio e l'urlo di qualche decina di migliaia di persone. «Mah, un occhio – mi dico – lo tengo aperto, hai visto mai». Lo sforzo richiesto dalla formulazione di questo pensiero ha richiesto tanto tempo quanto ne è bastato ai mazzarriani per ripetere il ciak precedente, riuscendo perfino a migliorarlo: centro da palla ferma, sponda di Maggio e, guarda un po', sbuca Cavani. «Si è deciso a segnare, finalmente, finora ne aveva fatti solo 22!». E il San Paolo risorge dalle proprie grida.
Bòn dai, qualche minuto di paura ma adesso manca mezz'ora, figurati se il Napoli non la porta a casa facile facile. E infatti, guarda là, Biava combina una solenne idiozia e Mascara è già vis-à-vis con Muslera, il tiro è una sentenza, pura formalità, ma il piede del portiere con la faccia da lattante dissente e si resta 2-2. Questione di tempo, dai, tutti sventolano santini di Padre Pio e di Diego Armando e attendono. Ma che fa Brocchi, è impazzito?
«Sono abbastanza forte!» |
È ai 20 metri e pensa di tirare, si ingobbisce, la lascia partire davvero! Ed è pure bella, guarda come va, De Sanctis neppure ci prova, traversa – incredibile! – e la difesa allontana. Riavvolgo il nastro di qualche fotogramma, dietro i miei occhi, e capisco di aver già visto quello che le telecamere mi confermeranno, la biglia ha fatto sponda di là dalla linea bianca. Era il 3-2 Lazio, come avete potuto non capire! Al ladro! L'indignazione mia e di una nutrita metà romana sta affiorando già fino in superficie, in gola, e il povero Brocchi maledice vari pantheon ma non c'è il tempo nemmeno per incazzarsi, a 'sto mondo: Zarate decide di farsi giustizia da solo, semina il panico e sfodera un sinistro a serramanico. De Sanctis ci mette una mano ma ha paura di tagliarsi, Essa resta lì davanti alla porta ma tranquilli, c'è Aronica, sarà calcio d'angolo. Quando, invece, è la rete a gonfiarsi per via dello scellerato tocco del centrale, pare di sentire quelle migliaia di cuori, attraverso i microfoni di Sky, fare un tuffo e frantumarsi. Allo spettatore sonnacchioso sta venendo un infarto lì, sul divano. Figurarsi il tifoso con l'icona e la maglia numero dieci, come mi sta.
Passa circa un quarto d'ora e cominci a pensare che il Napoli stia salutando la vetta e lasciando il secondo posto ai leonardici nerazzurri. Ma il Matador si chiama così mica per caso, vuol dire che si palesa con incedere elegante e solo nel momento supremo per occuparsi, col fascino mortifero della movenza perfetta, della questione decisiva: l'uccisione. E gli ci vogliono pochi istanti per procurarsi un rigore (cacciato Biava dal campo), trasformarlo senza pietà e, sfoderata la spada e lasciatala scintillare al sole del meridio, matare con parabola scavalcante la Lazio, non più leggera aquila ma pesantemente morente toro. Cavani! Cavani! Cavani! L'urlo del San Paolo e di tutto il Golfo non lo puoi tenere più. Il film perfetto è scritto e le braccia levate del Presidente apprezzano alquanto. A me, personalmente, mi manca il fiato ancora adesso.
Superare l'Inter e portarsi a tre dal Milan in codesto modo non è poi malissimo, se te la vivi sulla pelle. Ammetto di aver invidiato piuttosto anzichenò i tifosi al San Paolo, quando tutto lo conquisti in un momento, proprio quello seguente alla certezza di aver perso anche le mutande.
Per la Lazio niente è perduto, il fastidio di Lotito e di Reja è comprensibile ma la classifica è ancora tutta lì, matura come i romani l'hanno fatta durante la stagione e legittimata ad ambire al quarto posto anche dalla sconfitta dell'Udinese che, alfine, ha scivolato la sua corsa forsennata.
Siamo andati un po' troppo per le lunghe. Il derby a dopo, tanto se ne sono dette già, vi servirò mica io?
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